giovedì 31 dicembre 2009

[S]tralci di... 2009

Capire tu non puoi, tu chiamale se vuoi emozioni”. Saluto l’anno che se ne va canticchiando Lucio Battisti (ascolta) e ripensando ai vini che più mi hanno emozionato nel 2009. Difficile fare una classifica ma ci provo ugualmente! Spazio ai bianchi… 3° posto: Vitovska 2006, Carso D.O.C., Benjamin Zidarich. Mineralità di polvere di pietra del Carso e grande struttura. 2° posto: Zuani Vigne 2008, Collio D.O.C., Società Agricola Zuani. Equilibrio ed eleganza da vendere. 1° posto: “2001”, Beneventano Falanghina I.G.T. 2001 – Fontanavecchia. Mineralità ben oltre l’invecchiamento. Evvai coi rossi… 3° posto: Calidonio 2008, Taburno Piedirosso D.O.C., Ocone – Agricola del Monte. Armonia e capacità di stare a tavola. 2° posto: Riserva “Montestefano” 1999, Barbaresco D.O.C.G., Produttori del Barbaresco. Potenza dell’eleganza. 1° posto: “Radici” 1968, Taurasi D.O.C., Mastroberardino. Una storia a parte! Non fosse altro che questa bottiglia risale ancora ai tempi della DOC. Cin cin! Con l’augurio di nuove esaltanti ed emozionanti bevute per l’anno che verrà!

martedì 29 dicembre 2009

Verticale “Produttori del Barbaresco”

La verticale dello scorso 15 dicembre ha chiuso il 2009 della delegazione ONAV di Milano, regalando – è proprio il caso di dirlo - ai numerosi appassionati e soci presenti un interessante momento di approfondimento sul vino Barbaresco che - come giustamente ricordato ad inizio serata dal delegato provinciale Vito Intini - si è da tempo scrollato di dosso l’etichetta ingenerosa di “fratello minore del Barolo” conquistando, anzi, un ruolo di primo piano sulla scena enologica nazionale ed internazionale.
La zona di produzione individuata dal disciplinare comprende il comune omonimo, quelli vicini di Neive e Treiso, più la frazione di San Rocco Seno D’Elvio del Comune di Alba, tutti in provincia di Cuneo. Se nel Comune di Barbaresco non raggiungono i 300 metri e a San Rocco non superano i 180 metri d‘altezza, i vigneti di Neive sono situati a 320 metri e quelli di Treiso a 400. Con sostanziali differenze dei vini prodotti che a Barbaresco mostrano – generalmente – maggiori complessità aromatica ed eleganza, a Neive maggiori equilibrio e dolcezza d’espressione e a Treiso una spiccata componente terrosa unità a vigoria, mineralità e tannicità.
Presente anch’egli alla serata, l’enologo Aldo Vacca – un passato a bottega da Gaja - ha ripercorso le tappe storiche della Produttori: “negli anni ’50 il territorio di Barbaresco era molto arretrato rispetto, ad esempio, a Barolo. La famiglia Gaja era pressoché sola in un momento particolare per l’intero mondo del vino italiano; soltanto agli inizi degli anni ’80 sono comparse nuove realtà produttive”.
Il 1958 è l’anno di fondazione della Produttori del Barbaresco, “la prima cantina sociale ad aver intrapreso un discorso basato sulla qualità”, obbligando i soci (sono 56 i conferitori attuali) ad “allevare soltanto nebbiolo e a portare in cantina tutte le uve prodotte, promuovendo un sistema di remunerazione che valorizzasse quelle di maggiore qualità”. “Gaja ha fatto conoscere il Barbaresco nel mondo, i Produttori del Barbaresco l’hanno fatto bere”. E, in effetti, i prezzi sono di molto inferiori: €16 per il prodotto “base”, tradizionale blend di uve nebbiolo provenienti da diversi vigneti, €25 per i crus (prezzi franco cantina).
I crus della Produttori (i primi 5 sono usciti sul mercato nel 1997) sono 9 attualmente (Asili, Moccagatta, Montefico, Montestefano, Ovello, Pajè, Pora, Rabajà e Rio Sordo) e vengono prodotti soltanto nelle annate favorevoli (niente riserve nel 2002 e 2003). Ma se di fatto erano ben note e già ampiamente utilizzate in etichetta, soltanto nel febbraio del 2007 le “menzioni geografiche aggiuntive” sono state mappate e recepite ufficialmente nel disciplinare. Alle 65 già riconosciute se ne aggiungerà presto un’altra: la menzione Ronchi del comune di Barbaresco; anche se, in realtà, ce ne sarebbero altre 6 che, tuttavia, non sono state inserite nel Disciplinare perché mai utilizzate sinora da nessuna azienda.
I crus esprimono una maggiore complessità dovuta alla particolarità del singolo terroir”. Nello stesso Comune di Barbaresco “si possono individuare due crinali: uno che percorre la zona centrale del territorio comunale, dal fiume Tanaro verso est, lungo cui troviamo i vigneti Pora, Asili, Martinenga e Rabajà, dove i terreni sono più sciolti e fertili, i vini – di conseguenza - meno tannici e, generalmente, più eleganti; l’altro che va da sud-ovest a nord-est, lungo il quale troviamo i vigneti Niccolini, Rio Sordo, Martinenga, Asili, Rabajà-Bas, Paiè, Cole, Montestefano, Montefico e Ovello, dove i terreni sono più calcarei e i vini – di conseguenza - più tannici e minerali. Montestefano e Montefico, in particolare, sono ‘vigneti gemelli’, perché entrambi ripiegano lungo dei piccoli crinali laterali con esposizione a sud, sud-est”.
Dopo l’assaggio del Barbaresco 2005 (circa 250000 bottiglie prodotte dopo 20 mesi di invecchiamento in botte, in vendita dall’autunno del 3°anno successivo alla vendemmia), la serata è continuata con la degustazione di 6 annate della Riserva Montestefano, uno dei crus più famosi, menzionato per la prima volta già in alcuni documenti del 1878: invecchiamento complessivo di 4 anni, 3 anni in botte di cui il primo in botti da 25 hl, il secondo e il terzo in botti da 50 e 75 hl, tutte di rovere di slavonia, vendita en primeur come accade in Francia.
Una verticale eccezionale tenuto conto che i vini proposti – fatta eccezione per il Barbaresco 2005 (attualmente in vendita) e per il Barbaresco Riserva Montestefano 2005 (in commercio dal febbraio del prossimo anno) - sono già tutti esauriti.
BARBARESCO 2005, 14%.
Colore rosso rubino di buona luminosità. Naso intenso ed etereo che si presenta con toni di viola mammola, ciliegia, lampone e, sullo sfondo, sentori balsamici e vegetali. Dopo la prima rotazione, il vino evolve in una nota speziata di chiodi di garofano e in un leggero ricordo di talco. Profumi eleganti come pure il sorso che è secco, intenso, caldo e abbastanza morbido. Il tannino è diluito da un’ottima dose di freschezza e da un buon corredo di sapidità. Abbastanza equilibrato, la persistenza finale è apprezzabile, viene fuori la grande potenza del frutto e una piacevole aromaticità di cacao.
Aldo Vacca: “un’annata interessante, forse meno chiacchierata delle precedenti e caratterizzata da una potenza che ricorda per certi versi quella dell’annata 1999. Dopo un’estate non caldissima, al momento della vendemmia l’uva era matura, ricca di acidità anche se le gradazioni alcoliche non erano molto alte. La raccolta fu ultimata velocemente (in soli 8 giorni) nell’ultima settimana di settembre, date le piogge del giorno 10 e del giorno 20 dello stesso mese. Sembrava si fosse solo evitato il peggio; invece i risultati di questo breve periodo di affinamento sembrano essere incoraggianti”.
BARBARESCO “MONTESTEFANO” RISERVA 2005, 14% (14.2%), anteprima.
Imbottigliato a marzo del 2009. Colore leggermente più intenso ma sempre dalle tonalità tipiche del nebbiolo. Naso meno irruento ma ben più elegante, più floreale (rosa e viola mammola) che fruttato (fragoline di bosco e lampone), selvatico, speziato (noce moscata). Le sensazioni eteree e balsamiche, specialmente iniziali, conferiscono un’importante complessità olfattiva al bouquet dei profumi in cui si distinguono anche note di conifera, di viola e di prugna. L’ingresso al palato è più morbido del precedente millesimo, il sorso è secco e caldo. Tannino fitto ma ben levigato, con un finale di frutta e liquirizia di buona intensità e persistenza.
Aldo Vacca: “Al momento della raccolta le uve del vigneto Montestefano avevano raggiunto una maggiore maturità ma avevano meno acidità. Annata – come detto - possente, tannini fitti, frutto carico e cupo. Persistenza terrosa”.
BARBARESCO "MONTESTEFANO" RISERVA 2004, 14% (13.8%).
Colore sempre rubino. Naso abbastanza intenso a sfondo erbaceo e minerale, con una chiara impronta floreale e una leggera prevalenza del frutto. Ciliegia e lampone in confettura, vaniglia, ginepro, chiodi di garofano, terriccio, gesso e una nota quasi rugginosa. Sorso secco e abbastanza fresco, più vigoroso del 2005, l’ingresso è morbido. Il tannino è più forte ma nemmeno lontanamente ruvido. Prevalgono profumazioni più dolci, di grande eleganza; persistenza terrosa e balsamica.
Aldo Vacca: “Annata meno esuberante nel frutto. Un’estate piuttosto fresca e più uva in vigna rispetto al 2005. Durante l’estate, effettuato un diradamento intenso. Ad inizio settembre l’uva non era molto matura, poi le giornate calde, il cielo limpido e le notti fresche hanno permesso di vendemmiare nella seconda e terza settimana di ottobre (15 giorni più tardi che nel 2005)”.
BARBARESCO "MONTESTEFANO" RISERVA 2001, 14%.
Il colore svolta verso l’aranciato. Naso molto minerale con una particolare nota ferrosa, impatto olfattivo abbastanza intenso e molto elegante. Frutta surmatura, viola appassita, pepe, chiodi di garofano, felce, canfora e sensazioni eteree. Dopo la rotazione vengono fuori sentori di grafite, tabacco, cacao, cuoio e sul finire il frutto, un frutto cupo (prugna). In bocca è potente, di lunghissima persistenza gusto-olfattiva, con un tannino serrato stemperato ancora da una certa freschezza. Di grande aromaticità, ha raggiunto un ottimo equilibrio, austero; e tutto lascia presagire un futuro di grande evoluzione.
Aldo Vacca: “Annata forse più complessa e robusta, più strutturata e potente della 2004 e della 2005 che, invece, sono più ‘snelle’. L’uva era ricca dopo un decorso stagionale eccezionale. Vendemmia tardiva celebrata ad inizio ottobre dopo una calda”.
BARBARESCO "MONTESTEFANO" RISERVA 1999, 13.5%.
Colore rosso rubino, quasi aranciato. Non particolarmente intensi i profumi ma straordinariamente eleganti e complessi. China e tabacco all’inizio, poi ciliegia sotto spirito, marasca e prugna in confettura, radice di liquirizia, sentori minerali e vegetali, pepe nero e chiodi di garofano. A dieci anni dalla vendemmia mostra ancora un’ottima freschezza che diluisce un tannino molto fitto. L’impatto al palato è morbido, con forti sensazioni pseudo-caloriche. Sorso ricco in cui il frutto mostra tutta la sua potenza. Grandissima coerenza espressiva tra naso e bocca. L’eleganza ha un timbro simile al millesimo 2001 con un finale balsamico di frutta surmatura e fiori appassiti.
Aldo Vacca: “Vendemmia cominciata il 10 e protrattasi fino all’ultima settimana di ottobre. L’uva è maturata d’autunno e non d’estate, quindi presentava maggiore acidità e tannini più vigorosi. Annata straordinaria forse perché anomala: una grandinata a inizio giugno, infatti, aveva fatto cadere gli acini verdi non ingrossatisi tanto che non c’era poi stato bisogno del diradamento estivo. Estate fresca e splendido autunno, con vendemmia a ottobre inoltrato. Meno corpo, profumi intensi. Il tannino era decisamente evidente tanto da essere valutato come squilibrato, almeno inizialmente. Il rapporto buccia/succo era altissimo. La pompa quasi aveva difficoltà a completare i rimontaggi visto che c’era molta buccia spessa e poca polpa, -30% produzione, meno vino e poca resa”.
BARBARESCO "MONTESTEFANO" RISERVA 1997, 14%.
Colore meno luminoso del precedente ma sempre sulle tonalità del rosso rubino con sfumature aranciate. L’impatto olfattivo è suadente e molto elegante giocato su note dolci di frutta in confettura, fiori appassiti e noce moscata. Dopo la rotazione compaiono sentori balsamici e minerali, di marasca e di mostarda, poi ancora odori fungini e di sottobosco, curry e tabacco. In bocca è caldo e potente con un tannino maturo, molto rotondo grazie all’acidità ancora viva nonostante gli anni d’invecchiamento. Si concede più facilmente del millesimo precedente e regala forti persistenze in coerenza con le percezioni odorose.
Aldo Vacca: “Annata caratterizzata da un’estate calda e da una vendemmia precoce. Tannini facili e vini più morbidi”.
BARBARESCO "MONTESTEFANO" RISERVA 1996, 14%, MAGNUM.
Bel colore aranciato. Il bouquet dei profumi è molto ampio, l’impatto è intenso. Sullo sfondo il frutto, poi tabacco, radice di liquirizia, curry, legno di sandalo, china, goudron, arancia candita e chiodi di garofano. Gli anni che ha non li dimostra affatto. In bocca entra discreto ma è vigoroso; la freschezza è inaspettatamente ancora viva, il tannino è davvero potente ma perfettamente arrotondato. Ha tutto: equilibrio, potenza e eleganza. E ottime possibilità di ulteriore invecchiamento. Allungo finale da cavallo di razza con persistenza di sottobosco e di aromi balsamici.
Aldo Vacca: “Annata simile al 1999, più fresca, con vini più acidi, più tannici e più crudi. Ha anche meno frutto ed è stata meno asciutta rispetto al ‘99. Un’annata che all’inizio non era stata capita. Potente, maturazione lenta e vendemmia tardiva, con un tannino che sembrava essere ‘verde’ e che oggi, invece, sembra essere stato ben digerito”.

giovedì 24 dicembre 2009

Hernicus 2007, Cesanese del Piglio D.O.C., Coletti Conti

Avevo chiesto ad Antonello (al secolo Anton Maria Coletti Conti) di presentarmi il “Cesanese” e lui mi aveva risposto semplicemente: “È una bestiaccia”! Le ricordo bene quelle parole… e non mi fu difficile intuirne il senso dopo gli assaggi da botte.
Il “Cesanese del Piglio” – che ha ottenuto il riconoscimento della D.O.C.G. dalla vendemmia 2008 - deriva il nome dal piccolo paese del frusinate (Piglio) e dal vitigno autoctono a bacca rossa più importante del Lazio (il “Cesanese di Affile”, uva ben diversa dal “Cesanese comune” che era originariamente coltivato nella zona dei Castelli romani) che lì ha trovato l’areale di elezione.
Fondata nel 1850 ad Anagni, l’azienda ha cominciato a vinificare in proprio dal 2003. I vigneti (circa 20 ettari recentemente reimpiantati) si estendono nel podere “La Caetanella” (così chiamato dal nome della famiglia che lo acquistò dai Conti durante il pontificato di Bonifacio VIII) su terreni vulcanici, ad un’altitudine di circa 200 metri sul livello del mare.
Una bestiaccia?! Eh, ti credo... 16 gradi e mezzo per le circa 15000 bottiglie dell’annata 2007. Anche se ciò che più colpisce dell’etichetta “base” di Coletti Conti è l’ammirabile equilibrio raggiunto pur in presenza di cotanta alcolicità. Colore rosso rubino intenso; grande pulizia nel calice (benché l’azienda non pratichi né filtrazione né stabilizzazione) e “andamento lento” del vino lungo le pareti, ad anticipare struttura e ricchezza d’estratto oltre che, appunto, tenore alcolico. L’impatto iniziale è molto intenso. Prevalgono i sentori di frutta rossa macerata sotto spirito ma la nota eterea non è fastidiosa e non penalizza il vino quanto ad eleganza. Né ridimensiona la complessità del bouquet che si esprime, anzi, su toni ben definiti di ciliegia e amarena, di viola appassita e rosa canina, di noce moscata, pepe nero e polvere di caffè, con accenni di goudron. Riscontro positivo anche al palato: sorso secco, decisamente caldo e ingresso molto rotondo. Il rischio di un appiattimento sulle morbidezze è scongiurato da un’eccellente salinità e da un’ottima dose di freschezza che ravvivano il tannino serrato, dal caratteristico retrogusto finale amaricante, e allungano la persistenza di frutta rossa e cioccolato.
Nonostante l’attuale disciplinare consenta l’utilizzo di vitigni autorizzati e/o raccomandati per la regione Lazio (in percentuale massima del 10%), l’ “Hernicus” – come pure il “Romanico”, l’etichetta di punta dell’azienda - sono prodotti a partire da uve “Cesanese di Affile” in purezza, vinificate tradizionalmente. Dopo la raccolta, le uve vengono diraspate ma non pigiate e, quindi, avviate alla fermentazione in tini aperti della capacità di 40 hl in acciaio inox. Le loro dimensioni (diametro maggiore dell’altezza) consentono di avere una maggiore superficie di contatto del mosto con le vinacce, facilitando una migliore estrazione delle componenti polifenoliche, nonché una più ampia superficie di dispersione del calore prodotto durante la fermentazione. Durante i circa 12 giorni di macerazione, vengono effettuate ripetute follature manuali (4 o 5 al giorno), rimontaggi e deléstages. Subito dopo la separazione dalle vinacce, il vino viene decantato per 12-24 ore e travasato in fusti nuovi di rovere francese della capienza di 225-228 litri dove avviene, poi, la fermentazione malolattica e l’affinamento sur lies in legno piccolo (12 mesi). Il vino viene sottoposto ad una leggera chiarifica con albume d’uovo prima dell’imbottigliamento, cui segue un periodo di affinamento in vetro tra i 3 e i 6 mesi.
Ci si chiede perché un vitigno con queste caratteristiche organolettiche non abbia la visibilità che meriterebbe a livello nazionale. Un rosso così potrebbe giocarsela alla grande con altri e più famosi vini italiani, avvantaggiandosi anche di un prezzo decisamente competitivo. Ben si presta all’accompagnamento di piatti importanti a base di selvaggina da pelo oppure di brasati e stufati con un moderato uso di erbe aromatiche in cottura che potrebbero amplificare la tendenza amarognola del tannino che è la peculiarità del vitigno. Io l’ho bevuto su uno spezzatino di maiale in umido con le patate, apprezzandone la capacità di contrastare la grande succulenza con l’importante nota alcolica e la tendenza dolce (delle patate) con la sapidità.

mercoledì 23 dicembre 2009

'Nzalata 'e rinforzo

Rimaniamo in Campania per la terza tappa de "Le Tradizioni del [S]anto Natale" e approfittiamo della competenza e della disponibilità di Raffaele Bracale (qui il suo interessantissimo blog) per scoprire 'a 'nzalata 'e rinforzo.
Tipica portata in uso a Napoli durante il cenone della Vigilia di Natale, il pranzo natalizio ed i pranzi di tutte le altre festività natalizie ed affini. Ne scrivo nel tentativo, spero non vano, di sfatare un luogo comune e cioè che tale insalata prenda il nome di ‘nzalata ‘e rinforzo (insalata di/da rinforzo, rafforzo) dal fatto che assottigliandosi a mano a mano che venga servita, possa via via esser rimpolpata aggiungendovi i varî elementi consumati! Idea divertente, ma lontanissima dalla verità…
Questa gustosissima pietanza è così chiamata a Napoli in quanto pietanza servita originariamente durante il cenone della Vigilia di Natale, cenone notoriamente di magro, che anche quando comportasse pantagrueliche portate di pesce, si riteneva dovesse esser rafforzato con questa insalata, mancando in tavola carni e /o prodotti caseari.
Ristabilita cosí la verità, passiamo alla ricetta. Dosi per 6 persone: 1 grosso cavolfiore bianco napoletano, non romanesco 1 cespo di scarola riccia (facoltativo) 2 etti di olive nere di gaeta denocciolate 2 etti di olive bianche denocciolate 2 etti di papaccelle ricce [la papaccella -con etimo dal latino volg. *pipericella→paparicella→paparcella→papaccella- è un peperone, dalle bacche piccole, un poco schiacciate e costolute (ecco perché si dice riccia), molto carnosa e saporitissima: ideale per le conserve tradizionali sotto aceto oppure sott’ olio. Le bancarelle dei mercati partenopei, a partire dal mese di luglio fino ai primi freddi, traboccano di peperoni colorati ma solo i napoletani autentici - cioè ormai solo quelli di una certa età - sanno cogliere a colpo d'occhio le autentiche papaccelle ricce. I mercati sono invasi infatti da peperoni ibridi, pressoché identici morfologicamente alle papaccelle di un tempo. In realtà riconoscerle non è difficile: le papaccelle veraci sono piccole, raggiungono al massimo gli 8, 10 centimetri di diametro. Le bacche ànno colori decisi che variano, virando dal verde intenso al giallo sole (i frutti gialli però sono generalmente piú grandi) o dal verde al rosso vinato] o, in alternativa, una confezione di sottaceti misti 1 confezione di acciughe sott'olio 1,5 bicchiere d'olio d'oliva extravergine p.s. a f. 1/2 bicchiere d'aceto da vino bianco sale fino q.s.
Se avrete usato il cespo di scarola (cosa che consiglio): mondatelo, lavatelo, spezzettatelo a mano e sistematene i ciuffetti in una capace insalatiera. Mondare il cavolfiore, lavarlo, dividerlo in cimette e lessarle in abbondante acqua salata, badando che non diventino molli, ma restino croccanti; prelevare le cimette bollite con una schiumarola forata e sistemarle in un piatto perché si raffreddino, indi versarli in una capace zuppiera o unirle alla scarola nell'insalatiera; rimestare delicatamente condendo prima con tutto l'aceto e poi con l'olio ed aggiungendo le olive nere e verdi, le papaccelle (private del torsolo e tagliate a spicchietti) o i sottaceti ed i filetti d'acciughe e pochissimo sale; lasciar riposare due ore prima di servire; questa di cui vi dico è un'insalata che a mano a mano che viene servita può, nei giorni successivi essere rimpolpata degli ingredienti consumati: bisogna però fare attenzione a consumare prima la scarola riccia che, deperibilissima, non si può conservare e va approntata al momento dell’uso, nonché le cimette di cavolfiore che, a malgrado dell'aceto, possono rovinarsi facilmente compromettendo tutta la bontà della pietanza!
‘nzalata= insalata piatto di verdure generalmente crude, o talvolta cotte variamente condite con olio, aceto (o limone) e sale; sost. femm derivato del part. pass. dell’infinito ‘nzalà (insalare) che è dal lat. in (illativo) + salare (da sal-salis ) normale il passaggio in napoletano di ns>nz;
rinforzo= rinforzo, rafforzamento e qui rimpolpamento sost. masch. deverbale di rinforzare da un ri (=re iterativo) +inforzare denominale di forza dal lat. tardo fortia, propr. neutro pl. di fo°rtis 'forte'inteso femminile.

lunedì 21 dicembre 2009

Pannacotta alle pere, salsa al cioccolato e pere caramellate

Un'altra ricettina niente male di Alessio D'Alberto che pubblico qui con piacere.
Ingredienti:
200 gr. di panna fresca 200 gr. di latte fresco 300 gr. di pere williams mondate 75 gr. di zucchero 15 gr. colla di pesce 1 pezzetto di vaniglia
Procedimento:
Portare ad ebollizione il latte, la panna, lo zucchero e le pere fatte a pezzetti piccoli. Spegnere il fuoco e immergervi la colla di pesce precedentemente ammollata in acqua fredda e strizzata, facendola sciogliere bene. Frullare il tutto. Filtrare e formare negli stampini in silicone. In una padella, far caramellare le pere con una noce di burro, dello zucchero di canna e pochissima acqua. Per la salsa al cioccolato, sciogliere del cioccolato fondente a bagnomaria con della panna fresca e poco burro.
Impiattare e decorare a piacere.
E ora?! Il vino lo [s]cegli tu!

venerdì 18 dicembre 2009

Barbetta 2007, Barbera Sannio D.O.C., Antica Masseria Venditti

Ne ho già parlato qui, sul sito di Luciano Pignataro, e qui ribadisco: annotatevi questo vino!

C’è una cosa che apprezzo molto dei vini di Nicola Venditti. O meglio, tre: durevolezza, eleganza e coerenza, al naso come in bocca. Che sono poi pure i segni distintivi delle etichette, tutte riprese dai bei quadri della moglie Lorenza.

Prendete questo "Barbetta", non più di 10000 bottiglie all’anno. Non si fa attendere, appena versato è tutta un'esplosione di profumi che inondano il calice e lì restano a lungo, sempre vivi, anche dopo che il vino se n'è già bello che andato. Si concede schietto, senza timori, regalando al palato le stesse eleganti sfumature di frutta e di fiori percepite all’olfatto. Nicola non ama particolarmente i vini da uve monovitigno e non ha perso occasione per ricordarmelo durante la visita in azienda che mi ero ripromesso di fare con la scusa di dover ritirare la bottiglia nr. 168 dell’edizione 2008 della “Raccolta e Racconti di vino notturno”.

Per questo vino, però, è diverso! E non solo perché vi è un’intera pagina sul sito internet dedicata al vitigno (che - per quanto a volte si faccia un po’ confusione – si chiama “barbera” ma è cosa ben diversa dalla più celebre famiglia di natali piemontesi). Porta il nome dell’antenato “Barbetta”; è il simbolo del legame forte con la tradizione contadina e dell’orgoglio di una discendenza familiare cui va il merito di aver contribuito a salvare dal flagello della fillossera negli anni ’30 diverse varietà autoctone (tra le quali - appunto - “barbera”, “grieco di castelvenere” e “cerreta”) che sono tuttora vinificate in azienda e che compaiono tra i filari del “vigneto didattico” nell’ “isola di cultura del vino”.

Negli ultimi mesi l’ho bevuto spesso. Prima a “Le Piccole Vigne”, nell’agosto scorso. Poi a Roma, in ottobre, alla degustazione di "Riserva Grande"; una decina di giorni dopo, a km 0, proprio all'Antica Masseria Venditti. E, infine, nel giorno di Tutti i Santi, sulla tavola di casa con la pasta al forno di mia zia Carolina. E ogni volta con grande soddisfazione!

Un calice pulito. I profumi hanno la stessa impronta briosa del colore violaceo acceso. Prevalgono i ricordi floreali, di gelsomino (dice Nicola), anche di geranio (dico io). Poi, piccoli frutti rossi e amarene; sullo sfondo, una nota erbacea. Un vino pronto, con un anno di affinamento in acciaio sulle spalle, al quale non si chiede certo un lungo invecchiamento. Con un tannino presente, che non è mica quello dell’aglianico di "Marraioli", imbrigliato da una vibrante nota acida, fresco prima ancora che sapido. L’ingresso è relativamente morbido grazie alla nota alcolica che raggiunge i 13 gradi; gusto secco, intenso, con una decisa persistenza che ricalca fedelmente la trama olfattiva.
Di ottimo equilibrio, bella struttura e armonia, da godersi da qui a due/tre anni; un vino che proprio per queste caratteristiche di grande bevibilità, immediatezza e schiettezza ho eletto come uno dei miei vini preferiti, partner di sicuro affidamento per una grigliata estiva. Niente male davvero, intorno ai 10 euro sullo scaffale.

mercoledì 16 dicembre 2009

Gli "struffoli"

Seconda tappa de "Le Tradizioni del [S]anto Natale". Dal Veneto scendiamo lungo lo Stivale e approdiamo in Campania. Gli "struffoli" di cui ci parla Anna Longobardi - che ringrazio per aver accettato l'invito! - sono un tipico dolce natalizio del capoluogo partenopeo. Ma queste golose palline sono conosciute un po' in tutta Italia; nel Salento, ad esempio, le chiamano "porcedduzzi" (immagino il perché...). Gli struffoli sono i dolci più napoletani che ci siano. A pari merito con la sfogliatella e la celebre pastiera, e certo più del babà, di origine polacca. Chi ha inventato gli struffoli? Pare che nel Golfo di Napoli ce li abbiano portati i Greci, al tempo di Partenope. E dal greco deriverebbe il nome “struffolo”: precisamente dalla parola “strongoulos”, arrotondato. Sempre in greco, la parola “pristòs” significa tagliato. Per assonanza, uno “strongoulos pristòs”, cioè una pallina rotonda tagliata: vale a dire lo struffolo, nella Magna Grecia è diventata “strangolapre(ve)te”: il nome che si dà a degli gnocchetti supercompatti, in grado di “strozzare” gli avidi membri del clero. In Umbria e in Abruzzo lo struffolo si chiama cicerchiata, perché le palline di pasta fritta legate col miele hanno la forma di cicerchie: legumi che è meglio non mangiare per via dei loro semi velenosi. Gli abitanti della Tuscia, regione intorno a Viterbo, chiamano ancora oggi struffoli quelle frittelle di pasta soffice e leggera che altrove vengono definite “castagnole” e si mangiano a Carnevale. Gli struffoli si trovano pure a Palermo, con qualche piccola ma non sostanziale variante, una delle quali consiste nella perdita di una 'f' (“strufoli”). A Napoli un tempo gli struffoli venivano preparati nei conventi, dalle suore dei vari ordini, e recati in dono a Natale alle famiglie nobili che si erano distinte per atti di carità. Nella preparazione degli struffoli non esistono elementi accessori. Tutto è importante. Dai canditi ai diavolilli. Nella ricetta degli struffoli trovano posto arancia e cedro candito, ma la parte del leone (come nella pastiera e nella sfogliatella) la fa' la zucca candita: la famosa "cucuzzata". Se non si trova già pronta qui ci sono le istruzioni per farla. Ingredienti: - 600 gr. di farina - 4 uova + 1 tuorlo, - 2 cucchiai di zucchero - 80 gr. di burro (una volta si usava lo strutto - 25 gr.) - 1 bicchierino di limoncello o rum - scorza di mezzo limone grattugiata - un pizzico di sale - olio extra vergine d'oliva (o strutto) per friggere. Per condire e decorare:
- confettini cannellini (confettini che all'interno contengono aromi alla cannella) - 100 gr. di arancia candita, 100 gr. di cedro candito, 50 gr. di zucca candita (si trova solo a Napoli e si chiama "cucuzzata". Questa è la ricetta tradizionale caratterizzata dall'assenza di lievito e struffoli particolarmente croccanti. Nel caso si preferiscano più gonfi, si può aggiungere all'impasto un pizzico di bicarbonato o di ammoniaca per dolci. In questo caso, però, la pasta deve riposare alcune ore.

martedì 15 dicembre 2009

Tagliata di tonno rosso battuto di pomodorini e rucola con emulsione ai semi di papavero

Aaahhh! Una ricetta facile facile di Alessio D'Alberto che aspetta soltanto il tuo abbinamento...
Ingredienti:
150 gr. di filetto di tonno rosso 50 gr. di pomodorini a cubettini e scolati dell'acqua in eccesso 5 gr. di rucola olio, sale, pepe, limone e semi di papavero per l'emulsione Procedimento:
In una ciotola, condire i pomodorini e la rucola con olio, sale e pepe.
Scottare il tonno sulla brace o sulla griglia.
In un bicchierino da chupito, preparare un'emulsione con i semi di papavero.
Impiattare scaloppando il filetto di tonno appena scottato a forma di ventaglio; a fianco, l'insalata di pomodorini e il bicchiere con l'emulsione.

lunedì 14 dicembre 2009

Verticale di Barbaresco con l'ONAV a Milano

Una bella verticale di Barbaresco della Cantina Sociale dei Produttori del Barbaresco domani sera 15 dicembre, presso la sede della delegazione ONAV di Milano (via Termopili 12).
Appuntamento per le ore 21. Guida la degustazione Vito Intini, presente anche Aldo Vacca, responsabile della Cantina.
Costo € 20 (soci ONAV), € 30 (non soci).
Obbligatoria la prenotazione seguendo il link.

domenica 13 dicembre 2009

Il Barbaresco dell'azienda Vigin all'Enoteca Vintage

Sarà l'ultima degustazione guidata prima del periodo natalizio all'Enoteca Vintage di Cesano Maderno (via Milano nr. 26). Mercoledì 16 dicembre, una splendida verticale di Barbaresco dell'azienda Vigin di Treiso: 2003-2004-2005-2006. Appuntamento per le ore 21, costo della serata €12, posti disponibili 10. Prenotazioni entro sabato 12 dicembre (al raggiungimento delle 10 persone per mercoledì, partiranno le iscrizioni per la serata di martedì 15 che si effettuerà con almeno 6 partecipanti).
Informazioni Giuseppe Sonzogni
0362528485 3331041211 info@enotecavintage.it

Happy "Cheese" Hour con l'ONAF a Milano

Un aperitivo (ah! lo sapevate che aperitivo viene dal latino 'aperire', cioè 'aprire'?!) diverso, quello organizzato per il 17 dicembre dalla delegazione ONAF di Milano.
Dalle 18.30 alle 20.30, presso la Cooperativa "La Cordata" (Milano, via Burigozzo 11), un aperitivo di formaggi con degustazione e vendita (solo su prenotazione, obbligatoria entro il 13/12/2009 a milano@onaf.it) di Parmigiano Reggiano DOP Antica Razza Reggiana - Vacche rosse (28 mesi di stagionatura, € 19/kg), Bagoss (28 mesi di stagionatura, € 38/kg), Bitto DOP (produzione giugno/luglio 2009, € 19/kg) e Valtellina stagionato (specialità dell’affinatore Strigiotti di Talamona, 39 mesi di stagionatura, € 41/kg).
Costo d'ingresso € 5. Il biglietto da' diritto a partecipare all'estrazione di confezioni di specialità gastronomiche.
Informazioni
Delegazione ONAF Milano
cell. 333 6614920

giovedì 10 dicembre 2009

Le nuove annate dei Timorasso de "La Colombera"

di Daniele Vitali
Bella giornata quella del 7 dicembre 2009, trascorsa all’azienda agricola La Colombera a Vho di Tortona (AL) per la presentazione delle nuove annate di timorasso: il "Derthona" 2008 e "Il Montino" Riserva 2007.
Complice anche l’avvicinarsi delle feste la cantina era addobbata in ogni suo angolo, e presenti qua e la cesti e pacchi regalo con i prodotti dell’azienda. Al nostro arrivo era già tutto pronto, anche per la degustazione verticale delle annate precedenti di timorasso, oltre che dei vini rossi.
Il timorasso, vitigno autoctono dei colli Tortonesi, è abbastanza di difficile gestione, poiché soggetto a marciume. Nel corso degli anni è stato via via abbandonato, come purtroppo accade in molti altri casi. Fortunatamente, però, da un decennio è stato riscoperto, e La Colombera è una delle aziende che ha voluto fare un discorso incentrato sulla qualità. Bassa resa, tra 40 e 60 quintali per ettaro, vendemmia precoce intorno al 20 settembre (per prevenire la comparsa di marciume), vinificazione in acciaio a bassa temperatura (6/8°C) e permanenza sulle fecce fino all’estate successiva. Sono state coltivate uve di timorasso in cinque differenti vigne: "Tincina", "La Colombera", "Romba", "Bricco" e "Montino".
Nei primi anni (diciamo sperimentali) le uve hanno dato origine a cinque vini, valutati singolarmente, ma poi assemblati per dare origine ad una sola etichetta: "Derthona". Dalla vendemmia 2006, in base ai risultati degli anni precedenti, è stato scelto di differenziare il vino prodotto dalla vigna "Montino", facendolo però uscire sul mercato un anno più tardi, con la dicitura riserva. E’ nata quindi una nuova etichetta.
I vini in degustazione erano:
"DERTHONA" 2008
Colore paglierino scarico, molto luminoso, naso intenso di fiori bianchi, frutta e mineralità. In bocca splendida acidità e sapidità. Buon equilibrio. Finale lungo. 83 punti
"IL MONTINO" Riserva 2007
Colore paglierino un po’ più carico del precedente, sempre molto luminoso, naso leggermente più intenso e fine. Sempre fiori bianchi, frutta, cenni minerali e lievi sentori eterei. In bocca sempre spiccata acidità, con mineralità e sapidità ben presenti anche se con meno impatto. Buona morbidezza ed equilibrio, finale lungo. 85 punti
"DERTHONA" 2007
Colore paglierino che tende a virare verso il dorato, sempre molto luminoso. Naso intenso e complesso, fiori e frutta matura, idrocarburi e un vago sentore di tartufo. In bocca sempre ottima acidità, un po’ meno presente la mineralità. Finale lungo. 85 punti
"IL MONTINO" Riserva 2006
Colore dorato, molto intenso e luminoso. Naso intenso, anche se non molto fine. Spicca la parte floreale, più defilata la parte fruttata. Note di tartufo ben evidenti. In bocca spiccata acidità, sapidità e mineralista meno impattanti. Finale lungo. 87 punti
"DERTHONA" 2006
Colore dorato molto luminoso, naso intenso ma un po’ meno fine ed elegante. Frutta matura, fiori bianche ed erbe aromatiche. In bocca sempre ottima acidità, ma un po’ più scivoloso, anche se con buona mineralità. Solito finale lungo. 83 punti
"DERTHONA" 2005
Solito colore dorato molto luminoso, naso intenso ma poco complesso. Sentori di frutta cotta, miele e camomilla. In bocca buona acidità ma nulla più. Buon finale. Impressione di un vino un po’ arrivato. 78 punti.
"DERTHONA" 2004
Bottiglia magnum, colore dorato intenso, sempre molto luminoso. Naso intenso ma un po’ limitato in complessità.. Sentori di fiori e frutta cotta. In bocca buona acidità e poco altro. Pecca un po’ in eleganza. Buon finale. 77 punti.
"DERTHONA" 2001
Colore paglierino scarico, molto luminoso. Naso intenso ma poco complesso. Note decisamente eteree, anche se presenti le solite note fruttate e floreali. In bocca buon impatto, spiccata acidità e buon equilibrio. Un vino ancora fresco ed elegante. Finale medio lungo. 82 punti
"DERTHONA" 2000
Colore paglierino carico, molto luminoso. Naso intenso ma non m olto complesso, una punta di etereo ma su tutto note fruttate. In bocca buon equilibrio, con morbidezza ed acidità che si equivalgono. Finale medio lungo. 81 punti.
Oltre alla carrellata di timorasso, c’erano in degustazione anche i vini rossi prodotti dall’azienda, e più precisamente:
"VEGIA RAMPANA" 2007
Barbera in purezza affinata in acciaio. Colore porpora tendente al rubino, naso intenso ma non molto pulito, note di lampone e frutti rossi in genere, con una punta di speziatura. In bocca impatto discreto, buona acidità ed equilibrio. Finale medio. 78 punti.
"SUCIAJA" 2005
Nibiò in purezza (famiglia del dolcetto), affinato in barrique di 2° e 3° passaggio. Colore rubino intenso, naso intrigante, intenso e complesso, su tutto note erbacee e frutta matura. In bocca molto impattante, buon equilibrio, spiccata morbidezza e tannino smussato anche se ben presente. Finale medio. 82 punti.
"ELISA" 2005
Barbera in purezza affinato in barrique di 1° e 2° passaggio. Colore rubino con l’unghia che tende a virare verso il granato, naso intenso e legno molto ben integrato. Morbido in bocca, tannino presente anche se smussato. Speziatura evidente. Buon equilibrio, finale medio lungo. Elegante. 83 punti.
"ARCHE’" 2005
Croatina in purezza affinato in tonneaux. Colore rubino, naso intenso ma non molto complesso. Note di frutti rossi, fiori appassiti e note selvatiche. L’evoluzione al naso è smentita in bocca, con acidità e tannino ben presenti. Finale medio lungo. 80 punti.
A far da contorno al banco assaggio, il tavolo dei salumi seguito da Piercarlo Semino in persona. Su tutto il salame cotto, prodotto con il lardo e la carne vicina all’osso. Insaccato e fatto stagionare per 20 giorni, viene poi bollito e lasciato raffreddare a bagno nel brodo di bollitura. Una prelibatezza. All’ora di pranzo il sig. Giancarlo ha servito la Farinata, specialità locale prodotta con farina di ceci macinata a pietra. Altra prelibatezza. Presente anche Luca Montaldo, produttore ed affinatore di formaggi, che con i suoi prodotti ha deliziato il palato degli ospiti.

mercoledì 9 dicembre 2009

La "pinza de marantega"

Nonostante il nome apparentemente non commestibile, la "pinza de marantega" è un dolce tipico veneto della tradizione natalizia. Apriamo con questa ricetta di Andrea Fasolo (che ringrazio pure per il contributo decisivo nell'ideazione della rubrica) lo spazio di “Le Tradizioni Regionali del [S]anto Natale(leggi qui il manifesto).
Buon divertimento!

Ma cos’è la "pinza rustega"? È un dolce veneto antichissimo, nel nome si sente la rusticità di un dolce antico e povero, preparato un tempo con farine di più cereali e uva, fichi secchi, mele, semi aromatici: una sorta di antico pane dolce natalizio, preparato anche per la festa conclusiva dell’Epifania. Si cuoceva, infatti, avvolto in foglie di verza e messo sotto le ceneri del focolare. Da qui il nome vicentino di “putana soto’l fogo”: il nome “putana” rimanda comunque alla tradizione vicentina che prevede nell’impasto anche del pane raffermo, "soto'l fogo" proprio perché cotta nella cenere calda dei brugnei, dei panvin, i falò in cui si bruciava la vecia e, da come le faive, le faville salivano in cielo si capiva come sarebbe stato l’anno a venire. Dino Coltro scrive: “Una volta non era che una polenta solida di farina gialla e bianca, broae, unta con brodo di maiale". E difatti Bepi Maffioli prevede, nella sua ricetta, brodo di musetto. Passiamo alla ricetta, suvvia!

"Putana soto'l fogo"

Ingredienti: 250 gr. di farina 250 gr. di farina da polenta 150 gr. di burro 150 gr. di zucchero 100 gr. di uvetta 150 gr. di fichi secchi 30 gr. di noci Semi di finocchio q.b. Lievito q.b. Grappa q.b. Sale q.b. 300 gr. di mele 300 gr. di pere Esecuzione. Cuocere le farine in una casseruola, col sale, il lievito e una quantità d’acqua pari al doppio del peso delle due farine. Togliere dal fuoco e aggiungere il burro, lo zucchero, l’uvetta fatta rinvenire nella grappa, pure da aggiungere, ed il resto degli ingredienti a pezzi. Versare l’impasto in una tortiera imburrata e infarinata per un’ora circa a 170 °C, finché non sia divenuto asciutto. Fare intiepidire prima di sfornare. Un consiglio per il servizio: preparate una composta di mele e grappa, non troppo dolce, e mangiatecela assieme, sorseggiando un vin brulé o un buon... "Le fritole xè come le putele: più se ghe ne fa, più le vien bele".

martedì 8 dicembre 2009

Le tradizioni del [S]anto Natale

E va bene che siamo nel terzo millennio. E va bene che il mondo è in continua evoluzione, e il gusto pure… E va bene tutto, ma che spariscano certe tradizioni no! Dopo l’angosciante spot visto in TV di un dessert che è pure buono ma che - per carità! - non penso proprio sia “il dolce ideale per le Feste di Natale”, ecco “Le Tradizioni Regionali del [S]anto Natale”: uno spazio per conoscere le ricette sotto l’albero, dolci e salate, su e giù per lo Stivale, all’insegna della storia dei sapori tradizionali delle festività natalizie!
Inviatemi le vostre ricette, sarò felice di pubblicarle in questo spazio!
A domani con la prima!

lunedì 7 dicembre 2009

"2001", Beneventano I.G.T., Fontanavecchia

Un'etichetta molto particolare: il nome è un numero, il numero è un anno, il vino è un bianco, però si comporta quasi fosse un rosso.
Una scommessa vinta, quella di Libero Rillo... Una sorpresa, per chi nella falanghina non ci ha creduto e continua a non crederci.
Che non sia forse giunto il momento di cambiare rotta?!?
Ne ho parlato qui, sul sito di Luciano Pignataro, che ringrazio per la disponibilità.

giovedì 3 dicembre 2009

Cena-degustazione "percorrendoponte"

Ricevo e pubblico con piacere la locandina della cena-degustazione in programma per domani 4 dicembre all'Antica Osteria Frangiosa di Ponte (BN), organizzata da Giovanni Frangiosa e dall'Associazione Tesori del Sannio, con i vini di Ocone.

mercoledì 2 dicembre 2009

Wok! Zuppetta ai frutti di mare con bruschette (W il mare!)

Ritorna Alessio D'Alberto con una nuova ricetta, credo ispirata dal profumo del mare d'inverno di cui ha potuto godere negli ultimi giorni...
Ingredienti:
Vongole, cozze, fasolari, calamari, telline, lupini e cannolicchi
pepe bianco q.b.
pomodorini freschi tagliati a spicchi
prezzemolo fresco
olio extra vergine d'oliva
Procedimento:
Fare un leggero soffritto di aglio e pomodorini e, dopo aver adeguatamente pulito i frutti di mare, riversarli nella padella. Aggiungere il pepe bianco. Dopo circa un minuto, sfumare con del vino bianco (io ho usato un Vermentino Colli di Luni D.O.C.), coprire con un coperchio fino a completa schiusura dei gusci.
Nel frattempo, fare della bruschette al profumo d'aglio e abbrustolirle sulla griglia. Appena pronta la zuppetta, distribuirvi sopra del prezzemolo fresco appena tagliato e coprire di nuovo. Servire in tavola immediatamente scoprendo la pentola.
Un profumo senza eguali!
E ora?! Il vino lo [s]cegli tu!

lunedì 30 novembre 2009

Sparkle 2010. Il Gala dei migliori Spumanti secchi

Bere italiano non è mai stato così piacevole”: è questo il motto di Sparkle 2010, il Gala dei migliori spumanti secchi italiani, l'evento collaterale organizzato da Cucina&Vini per la presentazione dell'VIII guida "Sparkle: Bere spumante 2010".
Per il secondo anno consecutivo, l'evento si terrà nel bellissimo Palazzo Mezzanotte di Milano, sede storica della Borsa, domani 1 dicembre.
Un centinaio le aziende (provenienti da tutta Italia) e oltre trecento le etichette in degustazione per il gala che quest'anno si arricchisce di tre interessanti seminari di approfondimento dedicati alle zone più rappresentative della produzione spumantistica nostrana, in collaborazione con i rispettivi Consorzi di Tutela: “Franciacorta Millesimato 2005: una vendemmia a 5 stelle”, “Oltrepò Pavese Metodo Classico DOCG: il Cruasé” e “Conegliano Valdobbiadene: al via la DOCG” (numero chiuso, è necessaria la prenotazione).
Ingresso per operatori e stampa dalle ore 14, per il pubblico a partire dalle ore 15.30 fino alle ore 22.30. Ticket d'ingresso di € 12 per i Soci AIS (€ 20 per accompagnatori e appassionati), comprensivo di una copia della guida
Info & contatti
Cucina & Vini Editrice
Valentina Venturato
tel. +39 06 227581 int. 218
Ufficio stampa & PR:
Studio Gloria Ceresa
tel. +39 0371 549223

domenica 29 novembre 2009

Re Panettone 2009

"C’era una volta un re. Tutti lo conoscevano, tutti lo amavano, ma pochissimi sapevano che era un re. Finché un giorno, la città che tanti anni prima lui aveva lasciato per conquistare il mondo si ricordò chi lui fosse veramente. Da allora, i suoi concittadini organizzarono ogni anno una festa per celebrare la sua grandezza, che da quel momento nessuno mise mai più in dubbio".
Si chiude oggi 29 novembre (dalle 11 alle 20), nelle prestigiose sale del Museo Diocesano di Milano, la seconda edizione di Re Panettone.
La giornata prevede, come di consueto, assaggi gratuiti e possibilità di acquisto al prezzo speciale di 18 euro/Kg di eccellenti panettoni di ben 28 artigiani, venuti non solo da Milano e dalla Lombardia, ma da tutt’Italia. Questo l'elenco: Biasetto - Padova, Boutique del Dolce (A. Zoia) - Concorezzo (MB), Busato - Isola della Scala (VR), Caprice (F. Camplone) - Pescara, Comi - Missaglia (LC), Corsini - Castel del Piano (GR), Cristalli di Zucchero (M. Rinella) - Roma, Cucchi - Milano, Da Venicio (C. Pozza) - Arzignano (VI), De Riso - Tramonti (SA), Di Masso - Scanno (AQ), Fiasconaro - Castelbuono (PA), Galla - San Sebastiano di Po (TO), Lenti - Grottaglie (TA), Loison - Costabissara (VI), Lombardi - S. Paterniano (AN), Marigliano - San Gennariello di Ottaviano (NA), Martesana (V. Santoro) - Milano, Morandin - Saint Vincent (AO), Natale - San Cesario (LE), Nuovo Mondo (P. Sacchetti) - Prato, Pepe - San Michele Monte Albino (SA), Pina - Trescore Balneario (BG), I quattro mastri - Milano, Sartori - Erba (CO), Tiffany (F. Elmi) - Castel San Pietro (BO), Ungaro - Milano, Veneto (I. Massari) - Brescia.
Sulla storia del panettone, dolce tipico della tradizione natalizia, esistono diverse leggende. Le due più verosimili sono state individuate dalla Camera di Commercio di Milano.
La prima racconta di un falconiere di Milano, Messer Ughetto degli Atellani, che - innamorato di Algisa, bellissima figlia di un fornaio - si fece assumere da lui come garzone e inventò un dolce, fatto con la migliore farina del mulino, uova, burro, zucchero e uva sultanina: un successo strabiliante!
La seconda parla, invece, delle sventure di un cuoco al servizio di Ludovico il Moro che, incaricato di preparare un sontuoso pranzo di Natale, dimenticò il dolce nel forno. Lo salvarono l'audacia e la creatività di un piccolo sguattero, Toni, che con quanto rimasto in dispensa (un po’ di farina, burro, uova, della scorza di cedro e dell'uvetta) cucinò un dolce da portare in tavola. Gli ospiti furono tutti entusiasti e al duca che voleva conoscere il nome di quella prelibatezza, il cuoco rivelò: "L’è ’l pan de Toni".
Secondo un'antica consuetudine cristiana radicata nel territorio di Milano nel IX secolo, narrata da Pietro Verri, a Natale la famiglia intera si riuniva accanto al focolare attendendo che il pater familiae spezzasse "un pane grande" e ne porgesse un pezzo a tutti i presenti in segno di comunione.
Nel XV secolo, ai fornai che impastavano il pane dei poveri (pane di miglio, detto pan de mej) era vietato produrre il pane dei ricchi e dei nobili (pane bianco, detto micca), salvo che nel giorno del Natale, quando aristocratici e plebei potevano consumare lo stesso pane, regalato dai fornai ai loro clienti: il pan de’ sciori o pan de ton, ovvero il pane di lusso, di puro frumento, farcito con burro, zucchero e zibibbo.
Alla fine del ’700, la repubblica cisalpina s’impegnò a sostenere l’attività degli artigiani e dei commercianti milanesi favorendo l’apertura di forni e pasticcerie.
Nel corso dell’800, durante l’occupazione austriaca, il governatore di Milano Fiquelmont era solito offrirlo in dono al principe Metternich.

giovedì 26 novembre 2009

Verticale di Amarone della Valpolicella "Campo dei Tìtari", azienda agricola Brunelli

Un’altra serata emozionante, quella dello scorso 9 novembre all’ YN Vineria della Rinascente a Milano, che ha visto come protagonista l’Amarone della Valpolicella. Qualche faccia conosciuta, qualche volto nuovo per me, in tutto una quindicina di persone e posti disponibili esauriti in pochi giorni. In cabina di regia, Camillo Dehò, che ha aperto la serata con due parole sull’azienda e sui vini in degustazione.
1936: è l’anno di fondazione. L’azienda, oggi condotta dall’enologo Luigi Brunelli e dalla moglie Luciana, è situata a San Pietro in Cariano (paese che deve il suo nome alla famiglia romana Cariae), nel cuore della Valpolicella Classica. I vigneti di proprietà si estendono oggi per circa 10 ettari e la produzione complessiva si attesta intorno alle 100mila bottiglie l’anno.
6: le annate in degustazione della riserva “Campo dei Tìtari”, non più di 4000 bottiglie prodotte soltanto in annate particolari e ottenute con una cuvée diversa da quella tradizionale, che prevede un 10% di sangiovese in aggiunta a corvina e rondinella (rispettivamente al 60 e 30 per cento). I grappoli, raccolti a mano, vengono fatti appassire in fruttai a temperatura e umidità controllate fino a perdere il 40% circa del peso iniziale. Dopo la pigiatura, la fermentazione avviene a basse temperature per circa 40 giorni; seguono la maturazione in barriques nuove per 36 mesi e, dopo l’imbottigliamento, l’affinamento per altri 8 mesi prima della messa in commercio.
Dicevo, sei annate. Ve le ripropongo così, come le ho viste io, in tre mini batterie che sarebbe stato difficile pronosticare all’inizio: 2004/2003, 2001/1996 e 2000/1997.
2004: la trama del colore rosso rubino mostra un bel gioco di trasparenze. La “zaffata” iniziale è forte, i profumi sono complessi e molto eleganti: cioccolato, a seguire frutta rossa (ciliegia), noce moscata, in chiusura fiori rossi ed erbe officinali. Il sorso è secco; l’ingresso al palato è piuttosto morbido, merito anche dell’importante nota alcolica che poi è il tratto comune di tutti i vini in degustazione. Il tannino lavora “in sordina” ed è diluito dalla discreta sapidità e, soprattutto, dalla freschezza. Il gusto è intenso, chiude con un lungo ed elegante finale di frutta, fiori e, soprattutto, cioccolato.
2003: la tonalità del colore è pressoché la stessa del precedente millesimo. L’impatto olfattivo sembra essere un po’ più intenso ma è forse meno durevole. La maggiore pungenza dell’alcool, figlia di un’annata torrida, non lo penalizza in termini di eleganza. Un’eleganza che è però diversa, più spostata verso il tostato, la confettura di amarena e le spezie forti, il rabarbaro e il caffè, la viola appassita. Come era lecito attendersi, in bocca è più caldo e anche più tannico. La freschezza è sensibilmente inferiore e anche per questo l’ingresso al palato sembra essere più morbido. Il finale è pieno anche se, forse, non ha la stessa eleganza del fratellino minore.
2001: il colore vira verso sfumature più mature di rosso rubino, sempre caratterizzate da una buona luminosità. Quanto a intensità dei profumi, non c’è storia con i due precedenti millesimi, ai quali si lascia preferire anche per maggiori complessità ed eleganza. Ha una marcia in più; è quella nota balsamica sullo sfondo che fa la differenza e arricchisce ulteriormente un bouquet prezioso, in cui si intrecciamo ricordi di amarena e fiori rossi, di cioccolato e spezie, che ritornano puntualmente al palato. In bocca mostra una straordinaria coerenza espressiva. Il gusto secco ha morbidezza e potenza, è forse quello che più ricorda la fierezza del cavallo padronale da cui prende il nome. Persistenza lunga di frutta e fiori, afflati balsamici e una lieve nota tostata.
1996: gli anni dichiarati in etichetta non li dimostra, almeno stando al colore che è un intenso rosso rubino. Se si presta attenzione ai residui nel bicchiere, invece, ci si accorge che qualche annetto sulle spalle ce l’ha eccome. Il bigliettino da visita all’olfatto è forse il più intrigante e si esprime inizialmente su note di china e su numerose sfumature di cioccolato. Il naso è intenso e di buona complessità, ma come poi il 2000 forse il meno elegante: lampone, ribes rosso e poi, soprattutto, spezie. Deciso l’impatto, secco e morbido; il tannino è rotondo, la persistenza aromatica è intensa e incentrata sul susseguirsi dei sentori balsamici e vegetali, di cioccolato e di frutta rossa.
2000: anche in quest’annata, la scarsa luminosità del colore (rosso rubino con riflessi granati) sembrerebbe preannunciare uno stato di forma non proprio smagliante. Ipotesi che parrebbe essere confermata anche dalla minore eleganza di un bouquet sempre e comunque di grande impatto ma penalizzato forse dall’eterna alcolicità e da una lieve ossidazione. In bocca, invece, sorprende per naturalezza, ribalta il pronostico e si esprime a ottimi livelli; ricompaiono puntualmente le sensazioni di confettura di frutta rossa molto matura, di cioccolato e di vegetale, sullo sfondo la lieve ossidazione dell’olfatto. Il sorso denota una buona morbidezza e giova dell’apporto rinfrescante di acidità e sapidità.
1997: il colore è rosso granato ma è un po’ spento; qualche residuo nel bicchiere, nella norma considerando l’età anagrafica. Non particolarmente intensi i profumi ma discretamente eleganti. Frutta rossa matura, terriccio, sottobosco, mallo di noce; le note balsamiche e vegetali completano il bouquet. Al palato è secco, mostra il nerbo e la potenza del tannino, ben diluito dalla buona freschezza del sorso. La persistenza è apprezzabile, sulle stesse frequenze dell’analisi olfattiva, con espliciti richiami ai toni cioccolatosi e balsamici.
Molto suggestivo e curato l’abbinamento proposto da Camillo ed eseguito dallo chef Luca Seveso del Maio Restaurant (vai al sito), uno stufato di asino alla corvina veronese e polenta che io ho sinceramente preferito con i vini della batteria centrale.
Certo non eravamo davanti al solito Amarone iperconcentrato e pompato (anche se il prezzo è quello che è, almeno 50 euro a bottiglia). Rimangono, però, le mie perplessità in generale sulla piacevolezza e sulle difficoltà di abbinamento a tavola del vino di punta della “valle delle molte cantine” (questo il significato del termine di origini latine “Valpolicella”). Sarà che le delusioni passate mi hanno fatto riflettere sulla crisi d’identità di un vino che è in molti casi sempre più “costruito” per assecondare le mode d’oltreoceano. Sarà che nel corso della recente visita in terra di Valpolicella ho potuto vedere con i miei occhi che “ormai hanno piantato amarone ovunque” (e scusate l’inesattezza della frase, ma è per capirci…). Fatto è che l’Amarone (in odore di riconoscimento della denominazione di origine controllata e garantita) è oggi, a mio avviso, un vino sopravvalutato, più “caro che raro”, benché sia proprio quello l’Amarone che si propongono di difendere le dieci “Famiglie dell’Amarone d’Arte”. Detto che, comunque, non è sicuramente positiva l’attuale “spirale suicida di prezzi al ribasso” di cui ha parlato anche Franco Ziliani sul suo blog “Vino al Vino” (leggi).
Scusate: ma è forse troppo chiederne uno “buono, raro e, magari, nemmeno tanto caro”?!

domenica 22 novembre 2009

Il Barolo 2005 e i suoi fratelli

Il Barolo sarà il protagonista del banco d'assaggio organizzato dalla delegazione ONAV di Milano che si terrà lunedi 23 novembre, dalle 16 alle 21, all'Osteria Grand Hotel di Milano (via Ascanio Sforza, 75).
Verranno presentati i millesimi 2005 delle aziende: Einaudi, Bruna, Grimaldi, Ca' Brusà, Elio Grasso, Sandrone, Gigi Rosso, Giovanni Rocca, Fenocchio, Porro, Schiavenza, Prunotto, Luigi Pira, Parusso, Massolino, Martinetti, Ghisolfi, Gabutti, Boasso, Cascina Bongiovanni, Conterno Fantino, Domenico Clerico, Chiarlo, Cascina Ballarin, Cadia e Rocche di Berti. Ingresso: € 10 - soci ONAV € 15 - non soci Informazioni e prenotazioni:
Osteria Grand Hotel
tel. 02. 89511586 (dopo le 19)

giovedì 19 novembre 2009

MantuaWine: i vini IGT e DOC del mantovano

Si chiude oggi 19 novembre a Milano, nella bella cornice di Palazzo Giureconsulti (via Mercanti), "MantuaWine" 2009.
Dopo le tappe di Pizzighettone (CR), di Mantova e di Borgo S. Giacomo (BS), la Rassegna - giunta alla X edizione e organizzata dalla Provincia di Mantova e dai Consorzi del territorio - celebra il gran finale nella città meneghina, presentando al pubblico (dalle ore 18.00) il meglio della produzione vinicola mantovana.
Scarica qui il depliant ufficiale della manifestazione.

lunedì 16 novembre 2009

Il Morellino di Scansano a Milano

Domani 17 novembre, dalle ore 14 alle 19, il Consorzio Morellino di Scansano organizza a Milano (Palazzo Giureconsulti) una degustazione dei vini delle aziende socie.
Quale migliore occasione per scoprire il morellino, vino a denominazione di origine controllata e garantita dalla vendemmia 2007.
Qui l'elenco delle aziende.
Ingresso gratuito. Non occorre prenotazione. Informazioni:
Consorzio Tutela Morellino di Scansano via Marconi, 23 58054 Scansano (GR) tel/fax 0564/507710 e-mail gpondini@consorziomorellino.it

domenica 15 novembre 2009

X giornata dei vini di Lombardia e Viniplus 2010

Sarà presentata ufficialmente domani 16 novembre (Palazzo Mezzanotte, piazza Affari 6, Milano), nel corso della X giornata dei vini di Lombardia, l'edizione 2010 della Guida Viniplus, frutto dell’importante progetto che AIS Lombardia porta avanti da quasi dieci anni per promuovere e premiare l’enologia di qualità all’insegna dell’etica produttiva e del “sano, buono ed equo”.
Dalle 15 alle 19, banco d'assaggio con i produttori e i vini di Lombardia, aperto a tutti i Soci Ais.
Questi i numeri della nuova edizione della Guida Viniplus: 432 pagine (ben 80 pagine in più rispetto alla precedente), più di 200 le aziende lombarde recensite, 670 i vini segnalati, un centinaio i sommeliers qualificati A.I.S. che hanno sostenuto le selezioni per entrare a far parte dei panel di degustazione, 78 i giudici che nel corso di quattro diverse giornate hanno degustato nelle medesime condizioni, suddivisi per tipologia e in rigorosa forma anonima i campioni pervenuti, ben 705 i vini assaggiati tra spumanti, bianchi, rosati, rossi e vini da dessert, circa 5.000 le schede di valutazione per un totale di 54mila giudizi espressi.
Per informazioni:
tel. 02.67404638
Qui l'elenco dei vini in degustazione.

venerdì 13 novembre 2009

Gli appuntamenti... con Alvaro Pecorari

E' tempo di "appuntamenti" alle Tre Arcate (vai al sito).
Il patron Alessandro Russo ha messo a punto un fitto calendario di eventi. Il primo? Stasera 13 novembre, ore 20.30: Alvaro Pecorari e i suoi vini incontrano la cucina sorrentina.
In degustazione, i suoi vini: "Picol" 2007 Igt Friuli Venezia Giulia (100% Sauvignon Blanc), "Lis" 2006 Igt Friuli Venezia Giulia (Sauvignon, Chardonnay e Pinot Grigio), "Picol" 2001 Igt Friuli Venezia Giulia (100% Sauvignon Blanc); "Tal Luc" 2006 Bianco Dolce Vdt (Verduzzo 95% e Riesling 5%).
Gli abbinamenti, a cura dello chef Salvatore Accietto: totanetto di paranza ripieno di ricotta alle castagne del Faito su medaglione di semola fritta ai broccoli, candele spezzate alla genovese di ricciola, variazioni di baccalà e biscotti caldi al Burro.
Informazioni e prenotazioni al 331/6648060

giovedì 12 novembre 2009

"Bruma d'Autunno" 2005, Colli Tortonesi D.O.C. Superiore Barbera, Cascina I Carpini

Il nome riprende la “bruma”, la leggera foschia che avvolge in autunno le vigne, metafora dello stato d’animo del contadino dopo un anno di duro lavoro che il poeta Vincenzo Cardarelli ha rievocato nei versi della sua “Autunno” (raccolta “Poesie”, 1936-1942) che compaiono sulle brochures della giovane azienda (vai al sito): “Niente più mi somiglia, nulla più mi consola, di quest’aria che odora di mosto e di vino, di questo vecchio sole ottobrino che splende sulle vigne saccheggiate”. Lui, il “Bruma d’Autunno”, è il cru aziendale, ottenuto da uve barbera in purezza del vigneto “Riccardo”, vecchio più di 70 anni e parzialmente rinvigorito nel 2000. La produzione è limitatissima, solamente 3243 bottiglie. Colore? Rosso rubino. Un classico, perfettamente in stile barbera, però direi più luminoso e trasparente. La consistenza? Le piste tortuose di lacrime e archetti lungo le pareti del bicchiere danno un’idea della struttura che di lì a poco si toccherà con mano (si fa per dire…). Più complessi che intensi i profumi. Un bel frutto croccante, una vivace nota floreale e, sullo sfondo, afflati di tabacco, di terriccio e di vegetale. 14 mesi in botti grandi di rovere francese e 12 mesi di affinamento in bottiglia prima della messa in commercio. Risultato? Il legno esalta e non prevarica. Il sorso è secco, la componente alcolica (13.5%) si fa sentire il giusto e contribuisce all’atterraggio morbido al palato. La freschezza non sarà quella delle barbera dell’astigiano e dell’albese, per intenderci, ma c’è e lavora bene a braccetto con la sapidità; mai spigoloso il tannino che, anzi, fa la sua figura. Generosa e coerente la beva, gli aromi ciliegiosi e di frutti rossi tornano e ritornano in bocca con un bel ritmo. Un ottimo corpo. La grande bevibilità, l’eleganza e l’armonico intrecciarsi delle componenti sono le sue frecce migliori. Non è un azzardo scommettere ancora oggi, a più di quattro anni dalla vendemmia, su un’ulteriore evoluzione nel medio termine. Per l’abbinamento? Io ho optato per un “gemellaggio” con le candele di grano duro al ragù del mio papà. Un successone!

mercoledì 11 novembre 2009

I vini della Tenuta Adolfo Spada a L’Arcante Enoteca

Venerdì 13 Novembre, nell’ambito del ciclo di appuntamenti “Amici di Bevute. Viaggio al centro dell’autoctono”, l'enoteca "L’Arcante" di Angelo Di Costanzo (Miglior Sommelier Professionista campano del 2008) propone una serata con i vini della Tenuta Adolfo Spada, una delle più interessanti realtà della provincia di Caserta, areale di antichissima tradizione vitivinicola. Due i momenti della serata alla quale parteciperà il produttore, Ernesto Spada: - dalle ore 18.00, degustazione gratuita del bianco "Flòres" 2007 (Due Bicchieri Gambero Rosso 2010), da uve falanghina; e il "Gallicius" 2006, aglianico al 100%. Conduce le degustazioni il patron Angelo Di Costanzo. - alle ore 20.30, presso Ristorante "Il Rudere", adiacente all’Enoteca, cena-degustazione su prenotazione (costo € 38) con i vini dell'azienda. Tra gli altri: il pluripremiato "Gladius" e l'affascinante "Sabus", abbinati a un menù elaborato per l'occasione dallo chef Antonio Lubrano e raccontati da Ernesto Spada.
Ecco il menù:
Stuzzichino del pescatore: cotto e crudo di verdure, carpaccio di seppie, alici; Timballetto di spinaci e sgombro e Carciofo d’autunno con patate e gamberi
"Flòres" Falanghina Roccamonfina Igt 2007
Pappardelle con ricciola e funghi porcini
"Sabus" Roccamonfina Igt 2007
Filetto di tonno con pomodorini, uvetta, pinoli e noci secche
"Gladius" Roccamonfina Igt 2006
Per informazioni e prenotazioni:
L'Arcante Enoteca
via Pergolesi, 86
Pozzuoli (NA)
tel. 081 3031039

martedì 10 novembre 2009

I vini della Cascina i Carpini e la Cucina Padovana di Nicola Cavallaro

Una bella serata al Ristorante Al San Cristoforo con i vini di Cascina I Carpini e la cucina padovana dello chef Nicola Cavallaro.
Venerdì 13 novembre, ore 20. Ecco il menù: Mousse di caprino con prosciutto crudo di Montagnana (PD) "Rugiada del mattino" 2008 Soppressa del salumificio Bazza (PD) e schizzotto "Sette Zolle" 2007 Tortelli di gallina e cren in brodo "Falò d'ottobre" 2006 Porchetta di coniglio in salsa alla cacciatora con polenta morbido di storo "Bruma d'autunno" 2005 Spuma di cacao con salsa al cioccolato Costo €45 vini inclusi Info e prenotazioni tel. 02/89126060 info@nicolacavallaro.it

lunedì 9 novembre 2009

Fauno Bianco 2008, Vesuvio D.O.C., Terre di Sylva Mala

Coda di volpe: uno dei vitigni autoctoni di pregio della Campania, allevato dai Campi flegrei all'Irpinia e fino al Beneventano.
Nota anche come caprettone nella zona vesuviana, quest'uva sta dando ottimi risultati per la vinificazione in purezza.
Un esempio? Questo vino di cui ho già parlato qui sul sito di Luciano Pignataro.
Salute!