martedì 15 marzo 2011

Ecco qui il nuovo [S]tralci di vite!

Dopo un anno e passa di vita su blogspot, [S]tralci di vita cambia casa. Ci siamo trasferiti al nuovo dominio www.stralcidivite.it.

Non solo un nuovo dominio: un nuovo logo, una nuova veste grafica. Per il resto, la stessa passione di sempre.



Tra qualche giorno attivo il redirect al nuovo sito.

Cin cin!

domenica 13 marzo 2011

Ora tutto cambia (cit): il nuovo [S]tralci di vite!

Bene, bene, bene.

Se siete on line domani, vi aspetto!


giovedì 10 marzo 2011

Modi di dire o di fare: dimenticarsi (di avere) una bottiglia in cantina, tirargli il collo e scoprire che era buona

Dimenticare una bottiglia in cantina” è espressione molto comune nel gergo dei degustatori o degli appassionati di vino in genere; la si usa di frequente per invitare qualcuno a “lasciare di proposito” una bottiglia in cantina – e in questo sta l'uso (oserei dire) improprio del verbo "dimenticare" – per conservarla uno, due o più anni, nella convinzione (o nella speranza) che la bevuta possa regalare più forti emozioni a distanza di qualche tempo. In pratica, l'accezione del verbo "dimenticare" è per certi versi difforme dalle due in uso nella nostra lingua: -uno, perdere la memoria di una cosa o non ricordare; -due, passare sopra a qualcosa o non darle peso [fonte Conciso della Treccani]. 

Nel mio caso, parlando di questa falanghina millesimo 2007, l’espressione più adatta è "dimenticarsi di avere una bottiglia in cantina". Ché questa bottiglia - io - l'ho dimenticata davvero in cantina; e assolutamente non di proposito.

Ne avevo comprate giusto giusto due casse, un paio di anni fa, credo. Su internet, sul sito de La Compagnia del Cavatappi. Nemmeno per me, a dirla tutta; o almeno, inizialmente. Perché poi, visto il prezzo particolarmente vantaggioso, alle 6 che avevo comprato su richiesta di un amico, se ne erano aggiunte altre 6 per me. Niente di meglio nelle sere d’estate che un bel bianco da battaglia, da bere freddo a casa o con gli amici.

Delle 6 bottiglie che ho ricevuto comodamente a casa, 3 risultavano "disperse" in cantina fino a qualche giorno fa, quando le ho ritrovate. Non solo, a una gli ho tirato pure il collo (cit). 

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Villa Matilde è azienda affermata anche oltre i confini della Campania e produce circa 700mila bottiglie l'anno. Tra le diverse tenute di proprietà della famiglia Avallone ve n’è una nella mia provincia (che stando a quello che si legge sul sito internet si troverebbe tra Foglianise e Torrecuso): la Tenuta Rocca dei Leoni. Da qui arrivano due etichette di aglianico e, appunto, questa falanghina in purezza.

A distanza di tre anni il colore paglierino risulta particolarmente intenso e non mostra alcun segno di cedimento, nessuna ossidazione (e non che la reputi un difetto). Profumi eleganti e mediamente intensi, di una certa tipicità: le note di frutta, in primo piano; e, a seguire, i fiori bianchi e la salvia. Sorso secco che entra abbastanza morbido e si apre, poi, regalando più freschezza che sapidità. Poco meno che caldo (il grado alcolico si ferma ai 12 gradi e mezzo) e magari non lunghissimo come persistenza, ecco.

Una discreta boccia, insomma. Ché pianti, poi, il portafogli non ne ha fatti. Soprattutto, una bevuta significativa: un'ulteriore riprova, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che la falanghina è vitigno che ben può invecchiare. C'è soltanto bisogno di crederci. Tutti. Produttori, ristoratori e consumatori.

Crederci. A quello che vi ho raccontato.

mercoledì 2 marzo 2011

[S]tralci, il socio "misterioso" e i #contest sul vino...

Non è la prima volta che il mio socio ed io partecipiamo a dei #contest sul vino. Nel giugno scorso, infatti, il mio amico Alessio D'Alberto - ecco svelato il suo nome, cari amici di twitter presentò per "Esploratori del gusto", il concorso eno-gastronomico organizzato da Santa Margherita, una ricettina niente male che fu tra le 100 più votate in rete, pur non riuscendo - ahimé - a centrare la finalissima (date un'occhiata qui).

Ci riproviamo stavolta con la competition organizzata da Podere il Saliceto, in collaborazione con i blogger Andrea Petrini (Percorsi Di Vino) e Daniela Delogu (Senza Panna). Quello che occorre sapere per partecipare lo trovate qui e qui; per farla breve, si tratta di creare una ricettina ad hoc da abbinare a L'Albone, il blend di lambrusco salamino e sorbara prodotto dal simpaticissimo Gian Paolo Isabella.


Già che l'ho provato, quello di Gian Paolo - vi dico - è un lambrusco che mi piace. E poi - cosa da non sottovalutare - il prezzo è davvero poca roba rispetto alla qualità offerta. Ne avevo già parlato qui, nella rubrica Nord a Sud che curavo sul blog L'Arcante e ripropongo oggi, su queste paginette, lo [s]tralcio di quel post (si trattava de L'Albone 2009).
Gian Paolo Isabella lo trovi spesso su Vinix e a Vinitaly l’ho conosciuto di persona. Il suo lambrusco prende il nome dalla vigna che si estende lungo il vecchio argine del fiume che scorre a Campogalliano. La vinificazione contempla una macerazione pre-fermentativa a freddo per 3-4 giorni (al fine di ottenere una maggiore estrazione di colore e di tannini) e la fermentazione in autoclave. Blend di salamino di santa croce (70%) e sorbara (30%): del primo ha le caratteristiche note di frutta rossa dolce e di viola, del secondo la mineralità. Il risultato è un vino d’un violaceo piuttosto intenso e con una discreta componente alcolica (12.63%). In più lo mandi giù che è una bellezza per quanto è fresco. Lungo, naso/bocca spiccicati, persistente, con una piacevole trama tannica. Prezzo e numeri piccoli piccoli.
Ah, buona fortuna a chi parteciperà! In palio, per il miglior abbinamento, una cassetta da sei bottiglie di Argine, l’altro vino di Podere il Saliceto, prodotto da uve selezionate di malbo gentile, merlot e sangiovese.

giovedì 24 febbraio 2011

L'Aglianico del Taburno fa tappa nel milanese

Udite udite!

Se siete in zona Milano domani, venerdì 25 febbraio, potreste fare un salto a Bareggio. L'Enoteca Maggiolini, infatti, organizza - con il supporto della locale delegazione FISAR - un banco d'assaggio interamente dedicato all'aglianico.

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Le femminelle di aglianico nel Taburno
La cosa assolutamente interessante è che saranno in degustazione anche le etichette di aglianico del taburno delle aziende aderenti all'Associazione dei Produttori ("nata nel 2003 dall'impegno di un gruppo di produttori vitivinicoli, allo scopo di valorizzare e promuovere la conoscenza del territorio e della cultura dell'area del Taburno, ed in particolare dei vini a Denominazione di origine Controllata Aglianico del Taburno e Taburno") che il 10 dicembre scorso aveva organizzato l'interessante tavola rotonda Write Wine a cui avevo potuto partecipare anch'io (leggi qui).

"I campioni inviati per la degustazione - e in questo va riconosciuto il grande impegno da parte dell'Associazione dei Produttori - vanno dal 2001 al 2009 e provengono da 15 delle cantine associate dislocate nei diversi comuni dell’area così da permettere una visione più ampia di un prodotto che paga lo scotto di non essere un vino che ammalia al primo sorso ma che va conosciuto approfonditamente e aspettato per poterne apprezzare le qualità migliori: complessità, persistenza e finezza".

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Il logo dell'Associazione dei Produttori
Insomma, potreste approfittare per conoscere più da vicino  l'aglianico e, in particolare, l'aglianico del taburno che è vino sulle prime un po' scontroso ma che col tempo sa essere assai generoso.

Ve ne accorgerete.

Maggiori informazioni sul sito dell'associazione o scrivendo una mail; oppure ancora rivolgendosi direttamente all'Enoteca Maggiolini al nr. 02/9013034 - mail info@enoteca-maggiolini.it).

lunedì 21 febbraio 2011

Sagrantino di Montefalco Pagliaro 2005, Paolo Bea

Sarà forse il primo vino umbro che capita a tiro su queste paginette e devo dire che come debutto non è affatto male. Un giovanotto, quello sì. Che comunque il vino, in bottiglia, c'è finito il 23 settembre 2008. Poco più di due  anni, quindi: tutto sommato un discreto periodo di affinamento in vetro.

Discorsi anagrafici a parte, il Pagliaro ha fatto la sua bella figura. E anzi, trascorse un paio d'ore dalla stappatura, è venuto fuori alla grande, più giovane ancora di quanto avremmo soltanto osato immaginare poco prima.

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Il Pagliaro 2005, Sagrantino di Montefalco di Paolo Bea.

Piccoli frutti rossi e neri - la mora, soprattutto - e grande succosità. Una beva che unisce potenza e eleganza: potenza del tannino, vigoroso ma già ben levigato; eleganza dei profumi e del sorso, coerente e fresco assai, con quella bella punta di salinità che non guasta mai. Un finale in crescendo, vibrante; insomma, profondo e di grande soddisfazione finale.

Ha stoffa, ecco. E non lasciatevi spaventare dai 14 gradi e mezzo d'alcol dichiarati in etichetta ché, ve lo assicuro, non si sentono affatto. Piuttosto, accostatevi con umiltà alla boccia di un artigiano in quel di Montefalco che raccoglie le uve manualmente, le vinifica a contatto con le bucce (l'annata 2005 fa 46 giorni di fermentazione con macerazione) e fa maturare il vino per i primi dodici mesi in acciaio e poi altri 24 in botti grandi di rovere di Slavonia, prima dei dodici mesi di bottiglia che precedono la commercializzazione. Nessuna stabilizzazione forzata; questo è il motivo della presenza di più d'un sedimento sul fondo.


Pagliaro - lo dice l'etichetta - è il nome della vigna da cui provengono i grappoli di sagrantino utilizzati. Ho scoperto, poi, che il vigneto si trova a un'altitudine di circa 400 metri, su terreno argilloso, e che è composto di viti vecchie dai 20 anni in su. 

Costo in enoteca: sui 60 euro. Da comprare adesso e da bere chissà quando. Amen.

sabato 12 febbraio 2011

L'Amarone della Valpolicella secondo Speri: una verticale palpitante

Sono ritornato in Valpolicella l'altra sera, per partecipare alla verticale storica dell'Amarone Vigneto Sant'Urbano di Speri. Una verticale palpitante, oserei dire, che ha pienamente rispettato le attese, ripagandomi dei cento e passa chilometri che mi sono sparato fino a Pedemonte. 

Un evento a cui non potevo mancare, raccogliendo il graditissimo invito di Maria Grazia Melegari (date un'occhiata a Soavemente, il suo blog, oppure cercatela con questo stesso nome su twitter) e della delegazione AIS di Verona. Con un grazie sentito anche a Giampaolo Speri, padrone di casa e rappresentante dell'ennesima generazione di una famiglia dalle origini antiche, che ancora oggi produce vini di territorio e Amarone nel cuore della Valpolicella classica e secondo tradizione.

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Le bottiglie in verticale: (da sx a dx) 2006, 2001, 1995, 1983, 1973

Senza voler anticipare nulla - ché della verticale parlerò ben presto di là, sul sito di Luciano Pignataro - dico solo che la degustazione mi ha in un certo senso riappacificato con l'Amarone dopo alcune delusioni del passato (non ultima l'opinabile discesa in campo delle famiglie dell'Amarone d'Arte - tra cui appunto Speri). Tenuto conto che lo scarso feeling con la tipologia è anche da attribuirsi, nel mio caso, al non aver mai assaggiato niente di così vecchio da permettermi di coglierne forse l'essenza. Fatto è che l'Amarone è vino da lungo invecchiamento, spesse volte (purtroppo) snaturato dalle esigenze del mercato e da quello che Franco Ziliani aveva definito «processo di amaronizzazione forzata».

Una verticale tanto più importante se si pensa che l'excursus era di quelli tosti: 5 annate dagli anni settanta al 2000, passando per gli ottanta e i novanta con le rispettive tendenze enologiche. Una possibilità unica, quindi, per ripercorrere le tappe dell'evoluzione (anche stilistica) del vino simbolo della Valpolicella.

Con due annate, il 1973 e il 1995, a loro modo spet-ta-co-la-ri.