Avevo chiesto ad Antonello (al secolo Anton Maria Coletti Conti) di presentarmi il “Cesanese” e lui mi aveva risposto semplicemente: “È una bestiaccia”! Le ricordo bene quelle parole… e non mi fu difficile intuirne il senso dopo gli assaggi da botte.
Il “Cesanese del Piglio” – che ha ottenuto il riconoscimento della D.O.C.G. dalla vendemmia 2008 - deriva il nome dal piccolo paese del frusinate (Piglio) e dal vitigno autoctono a bacca rossa più importante del Lazio (il “Cesanese di Affile”, uva ben diversa dal “Cesanese comune” che era originariamente coltivato nella zona dei Castelli romani) che lì ha trovato l’areale di elezione.
Fondata nel 1850 ad Anagni, l’azienda ha cominciato a vinificare in proprio dal 2003. I vigneti (circa 20 ettari recentemente reimpiantati) si estendono nel podere “La Caetanella” (così chiamato dal nome della famiglia che lo acquistò dai Conti durante il pontificato di Bonifacio VIII) su terreni vulcanici, ad un’altitudine di circa 200 metri sul livello del mare.
Una bestiaccia?! Eh, ti credo... 16 gradi e mezzo per le circa 15000 bottiglie dell’annata 2007. Anche se ciò che più colpisce dell’etichetta “base” di Coletti Conti è l’ammirabile equilibrio raggiunto pur in presenza di cotanta alcolicità.
Colore rosso rubino intenso; grande pulizia nel calice (benché l’azienda non pratichi né filtrazione né stabilizzazione) e “andamento lento” del vino lungo le pareti, ad anticipare struttura e ricchezza d’estratto oltre che, appunto, tenore alcolico.
L’impatto iniziale è molto intenso. Prevalgono i sentori di frutta rossa macerata sotto spirito ma la nota eterea non è fastidiosa e non penalizza il vino quanto ad eleganza. Né ridimensiona la complessità del bouquet che si esprime, anzi, su toni ben definiti di ciliegia e amarena, di viola appassita e rosa canina, di noce moscata, pepe nero e polvere di caffè, con accenni di goudron.
Riscontro positivo anche al palato: sorso secco, decisamente caldo e ingresso molto rotondo. Il rischio di un appiattimento sulle morbidezze è scongiurato da un’eccellente salinità e da un’ottima dose di freschezza che ravvivano il tannino serrato, dal caratteristico retrogusto finale amaricante, e allungano la persistenza di frutta rossa e cioccolato.
Nonostante l’attuale disciplinare consenta l’utilizzo di vitigni autorizzati e/o raccomandati per la regione Lazio (in percentuale massima del 10%), l’ “Hernicus” – come pure il “Romanico”, l’etichetta di punta dell’azienda - sono prodotti a partire da uve “Cesanese di Affile” in purezza, vinificate tradizionalmente. Dopo la raccolta, le uve vengono diraspate ma non pigiate e, quindi, avviate alla fermentazione in tini aperti della capacità di 40 hl in acciaio inox. Le loro dimensioni (diametro maggiore dell’altezza) consentono di avere una maggiore superficie di contatto del mosto con le vinacce, facilitando una migliore estrazione delle componenti polifenoliche, nonché una più ampia superficie di dispersione del calore prodotto durante la fermentazione. Durante i circa 12 giorni di macerazione, vengono effettuate ripetute follature manuali (4 o 5 al giorno), rimontaggi e deléstages. Subito dopo la separazione dalle vinacce, il vino viene decantato per 12-24 ore e travasato in fusti nuovi di rovere francese della capienza di 225-228 litri dove avviene, poi, la fermentazione malolattica e l’affinamento sur lies in legno piccolo (12 mesi). Il vino viene sottoposto ad una leggera chiarifica con albume d’uovo prima dell’imbottigliamento, cui segue un periodo di affinamento in vetro tra i 3 e i 6 mesi.
Ci si chiede perché un vitigno con queste caratteristiche organolettiche non abbia la visibilità che meriterebbe a livello nazionale. Un rosso così potrebbe giocarsela alla grande con altri e più famosi vini italiani, avvantaggiandosi anche di un prezzo decisamente competitivo. Ben si presta all’accompagnamento di piatti importanti a base di selvaggina da pelo oppure di brasati e stufati con un moderato uso di erbe aromatiche in cottura che potrebbero amplificare la tendenza amarognola del tannino che è la peculiarità del vitigno. Io l’ho bevuto su uno spezzatino di maiale in umido con le patate, apprezzandone la capacità di contrastare la grande succulenza con l’importante nota alcolica e la tendenza dolce (delle patate) con la sapidità.
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