giovedì 29 ottobre 2009
Semifreddo ai due cioccolati con croccante di pistacchi di Bronte
lunedì 26 ottobre 2009
Piano piano la parmigiana...
lla ha a che vedere con la tradizione emiliana ed è un piatto ben radicato nell'Italia meridionale. giovedì 22 ottobre 2009
Denti, attenzione ai vini bianchi
La notizia è di quelle che fanno tremare i denti… o i bicchieri, scegliete voi…
Secondo una ricerca condotta dalla Johannes Gutenberg University, chi ha a cuore la salute e la bellezza del proprio sorriso (e proprio non vuole rinunciare al vino durante il pasto) dovrebbe preferire i rossi ai bianchi.
Lo studio tedesco rivela, infatti, che il vino bianco (caratterizzato da un pH più basso e, quindi, da una maggiore acidità) danneggerebbe maggiormente lo smalto dentale; anche se ciò non significa dovervi rinunciare completamente (forse dimenticano che l’acidità è componente non trascurabile anche di certi vini rossi o passiti?!?).
L’equipe di ricercatori ha anche suggerito alcuni accorgimenti per evitare di ritrovarsi con i denti macchiati. Quali?! Ecco.
Anzitutto, un ragionato abbinamento cibo-vino. Gustare un formaggio sorseggiando un calice di vino sarebbe utile perché i latticini contengono calcio, sostanza che il vino “attacca” sui nostri denti. Ben venga, sempre in quest’ottica, un assaggio di formaggi a fine pasto (sicuri che questa sia un’ottima abitudine alimentare?!?).
Secondo: evitare di abbinare vini bianchi frizzanti a succhi di frutta, come avviene in alcuni cocktails; e dimenticare per sempre il sensuale abbinamento fragole-champagne, altamente acido e quindi deleterio per calcio e fosfato.
Per finire: bere mentre si mangia. La saliva prodotta durante la masticazione aiuta, infatti, a neutralizzare l’acidità del vino. E una volta terminato il pasto, attendere almeno mezz’ora prima di lavarsi i denti per permettere allo smalto di rigenerarsi.martedì 20 ottobre 2009
Furore Bianco 2008, Costa d'Amalfi D.O.C., Marisa Cuomo
sabato 17 ottobre 2009
Vinoesalute - Vinoèsalute - Vino?salute!!! Gli aspetti patologico, benefico e ludico del vino.
Si svolge oggi - ore 10.30 a Capri (Centro Congressi, Vico Sella Orta 3) - l'incontro promosso dall'Associazione Italiana Sommeliers e da AIS Campania, patrocinato dal Comune di Capri, che "prenderà in esame l'aspetto salutistico, benefico e ludico del vino, con un'attenzione agli effetti, sui comportamenti di consumo degli italiani, derivanti dalle restrizioni imposte dall’entrata in vigore del nuovo Codice della Strada".
mercoledì 14 ottobre 2009
Percorsi di vino... nel Sannio
Novello…e dintorni 07/11-08/11 (2 giorni/1 notte) € 95 1° giorno: incontro dei partecipanti e sistemazione nella struttura prescelta, aperitivo di benvenuto con presentazione del territorio, dei vini e del programma. In serata partecipazione alla Festa del Vino Novello a Torrecuso; proseguimento della serata in wine-bar con degustazione di vini novello e cibi abbinati. Rientro in hotel per il pernottamento. 2° giorno: dopo la prima colazione (… e un massaggio per chi vuole), si parte alla volta di due delle cantine più rappresentative del territorio in un susseguirsi di vigneti che raccontano la storia dell’Aglianico del Taburno. Le visite sono guidate dai proprietari o dagli enologi attraverso vigneti e bottaie. Le degustazioni dei rinomati vini prevedono assaggi di prodotti del territorio per la prima cantina e assaggi gastronomici rinforzati anche caldi per la seconda che si trasformerà in un vero e proprio pranzo contadino con prodotti di stagione. Relax e fine dei nostri servizi. (La quota comprende: Aperitivo e accoglienza, 1 pernottamento con prima colazione, degustazione vini novello con piatti abbinati, visita guidata di due cantine con degustazione/aperitivo e degustazione/pranzo con accompagnatore sommelier professionista per tutta la durata. Extra: massaggio). Ponte Immacolata 05/12-08/12 (4 giorni/3 notti) € 195 1° giorno: incontro dei partecipanti e sistemazione nella struttura prescelta, aperitivo di benvenuto con presentazione del territorio, dei vini e del percorso. Consegna OMAGGIO di un bicchiere da degustazione con sacchetto. In serata cena/degustazione con prodotti tipici e vini di cantine della zona. Pernottamento. 2° giorno: dopo la prima colazione, si parte alla volta di due delle cantine più rappresentative del territorio in un susseguirsi di vigneti che raccontano la storia dell’Aglianico del Taburno. Le visite sono guidate dai proprietari o dagli enologi attraverso vigneti e bottaie. Le degustazioni dei rinomati vini prevedono assaggi di prodotti del territorio per la prima cantina e assaggi gastronomici rinforzati anche caldi per la seconda che si trasformerà in un vero e proprio pranzo contadino con prodotti di stagione. Cena libera con suggerimenti… Pernottamento. 3° giorno: dopo la prima colazione, a scelta (da effettuarsi all’atto della prenotazione) escursione libera o guidata (Pietrelcina, Benevento, Parco del Taburno, Sant’Agata de’ Goti) oppure percorso de-tox al Centro Benessere Paradise di Telese Terme. Cena e pernottamento in hotel. 4° giorno: dopo la prima colazione, visita dei borghi di Cusano Mutri e Guardia Sanframondi. A seguire visita di una cantina della zona Guardia/Castelvenere con pranzo in loco e passeggiata nei vigneti. Fine dei nostri servizi. (La quota comprende: aperitivo e accoglienza, consegna bicchiere da degustazione, 3 pernottamenti con prima colazione, 1 cena/ degustazione, visita guidata di due cantine con degustazione/aperitivo e degustazione/pranzo con accompagnatore sommelier professionista per tutta la durata. Accompagnatore per escursione 3° giorno (min. 6 pax). Visita cantina con pranzo). Immacolata 05/12-07/12 (3 giorni/2 notti) € 135
lunedì 12 ottobre 2009
"Il gioco del tonno su crema di zucca e zenzero"
sabato 10 ottobre 2009
Premio Falanghina Felix 2009
Sì è conclusa domenica scorsa l'ottava edizione della Rassegna Falanghina Felix; numeroso il pubblico accorso per l'evento, ideato e organizzato da Strive Marketing e Comunicazione e tenutosi nello splendido borgo di Sant'Agata dei Goti, tradizionale sede della manifestazione.
giovedì 8 ottobre 2009
“Braide Alte” 2006, I.G.T. delle Venezie, Aziende Agricole Livon
In tutta onestà, non ho mai avuto un grande feeling con i vini bianchi “passati” in legno. Ma il “Braide Alte” 2006 è certamente uno di quelli – non moltissimi, per la verità - che più mi ha dato soddisfazione, sin dal primo assaggio ai SuperWhites 2009 (leggi qui). Tant’è che non ho perso tempo e me ne sono procurato subito un’altra bottiglia per godermela con più calma.
Come nella migliore tradizione friulana, il “Braide Alte” è un uvaggio di chardonnay, sauvignon, moscato giallo e picolit (in piccola parte); tutte uve provenienti dal vigneto omonimo (nel dialetto friulano, il termine "braida" indica il podere annesso alla casa che viene coltivato a viti, alberi da frutto o ortaggi), situato in località Ruttars di Dolegna del Collio.
Dopo la vendemmia (condotta a mano), le uve vengono sottoposte ad una breve crio-macerazione con successiva decantazione del mosto. La fermentazione avviene a temperatura controllata (circa 14-16°C) in barriques di rovere di Allier; lì il mosto rimane a maturare per altri 8 mesi, sempre a temperatura costante, prima dell'assemblaggio definitivo, cui segue l’imbottigliamento e un periodo di affinamento di 12 mesi.
Nel bicchiere, ruota con la stessa eleganza che caratterizza anche il luminoso colore giallo paglierino e i profumi, intensi e di grande complessità: susina e mela matura, fiori bianchi e gialli, erbe officinali, lavanda, uva passa e fichi, amaretto e vaniglia. Appunto, vaniglia: il legno c’è, e si sente, ma esalta e non sovrasta. Come inizio, niente male! Pregusto al palato un vino morbido, strutturato e con un’accesa componente alcolica.
Detto fatto: l’ingresso è sinuoso e burroso, esattamente come le sfumature del legno già percepite al naso e che ritrovo qui puntualmente. Il sorso è secco, forse appena appena abboccato. L’alcol non passa inosservato ma è ben bilanciato da una dose minima di freschezza che ancora c’è e da un'ottima sapidità. Se proprio devo trovare un difetto, ecco, sembra meno coerente che all’olfatto. La persistenza è di quelle che durano un bel po’, eco dei ricordi di fiori e di frutta disidratata.
Niente da dire: è un vino armonico ed equilibrato, pronto, con prospettive di un discreto affinamento in bottiglia. Da bersi, credo, nel giro di due o al massimo tre anni.
Le esatte proporzioni del blend non le conosco, né sono indicate sul sito. Ho capito, sì! La percentuale di picolit sarà pure minima; ma mi riesce comunque difficile pensare ad una vinificazione che non sia quella tradizionale in purezza di un'uva così scarsamente produttiva (a causa, o forse è più giusto dire, grazie a quell'aborto floreale che ne è la peculiarità), dalla cui lavorazione si ricava un numero limitatissimo di bottiglie di un nettare pregiato e lucente, unico al mondo.
Ricordo anche l’ottimo formaggio Montasio D.O.P. (vai al sito), stagionato 2 mesi, gustato sempre lì, ai SuperWhites 2009. Che altro dire?! Non mi rimane che aspettarli ancora a Milano (i SuperWhites, dico...) oppure spendere 25-30 euro per una bottiglia. O forse, meglio ancora, fare una puntatina in Friuli: al più presto!martedì 6 ottobre 2009
Cena dell'Alleanza tra Cuochi e Presidi Slow Food
Questi i cinque presidi scelti (tra parentesi i produttori) con una loro breve descrizione:
Pomodorini del Piennolo Vesuviano (Az. Biologica Casa Barone – Somma Vesuviana).
Una delle produzioni più caratteristiche dell’area del Vesuvio sono i pomodorini da serbo “col pizzo”, detti anche spongilli o piénnoli (“pendoli”) per l’abitudine di appenderli alle pareti o ai soffitti, riuniti in grappoli (schiocche) e legati con cordicelle di canapa. Sono piccoli pomodori (20-25 grammi) dalla forma a ciliegia, che si distinguono dagli ormai famosi pomodorini di Pachino per la presenza di due solchi laterali (detti coste) che partono dal picciolo e danno origine a delle squadrature, e di una punta, un “pizzo”, all’estremità. La buccia è spessa e resistente, la polpa soda e compatta, povera di succo, prosciugata dal sole che splende sui terreni aridi del vulcano. Si seminano in marzo-aprile e maturano tra luglio e agosto, ma l’antico procedimento di conservazione prevede che li si raccolga a grappoli interi all’inizio dell’estate per conservarli, appesi in locali con adeguata temperatura e umidità, fino all’inverno o addirittura alla primavera successiva. Così, per molti mesi, si possono condire i piatti di pesce, le pizze e le paste della tradizione campana con una “pummarola” straordinariamente saporita. Le bacche rosse hanno buccia spessa, polpa soda e compatta e un sapore dolce-acidulo. Sapore e profumo diventano più intensi con il passare del tempo: man mano che i pomodori asciugano e la concentrazione aumenta. Da sempre hanno costituito il veloce spuntino di mezza mattina dei contadini nei campi: un pomodoro “schiattato” sul pane, un filo d’olio, sale e basilico. In cucina si utilizzano per le cotture veloci: ad esempio per i vermicelli alle vongole o il pesce all’acquapazza. Eccellenti anche con la carne alla pizzaiola: fettine cotte in un semplice sughetto di pomodorini preparato all’istante, che poi, una volta estratta la carne, serve per condire i maccheroni.
Area di produzione: Comuni vesuviani (provincia di Napoli).
Stagionalità: la raccolta del pomodorino raggiunge il suo massimo nei mesi di luglio e agosto ma il pomodorino può essere conservato in grappoli oppure consumato in conserva successivamente.
Colatura di Alici di Cetara (Iasa Srl - Cetara):
Pochi trasformati vantano una così nobile ascendenza quale la colatura di alici: bisogna risalire infatti ai banchetti imperiali narrati da Plinio, dove il garum era protagonista indiscusso delle portate pantagrueliche di Apicio. Questo liquido ambrato, molto simile al garum romano, si ottiene dal processo di maturazione delle alici sotto sale, seguendo un antico procedimento tramandato di padre in figlio dai pescatori di Cetara e tuttora praticato in molte famiglie del borgo costiero. Le acciughe, appena pescate, sono decapitate ed eviscerate (“scapezzate”) a mano, e poi sistemate, con la classica tecnica “testa-coda” a strati alterni di sale ed alici, in un apposito contenitore in legno di rovere, il terzigno (un terzo di una botte). Completati gli strati, il contenitore viene coperto con un disco in legno (detto tompagno), sul quale si collocano dei pesi (di solito pietre marine). Per effetto della pressatura e della maturazione delle acciughe, un liquido comincia ad affiorare in superficie: mentre nel normale processo di conservazione delle alici viene prelevato ed eliminato, nella produzione della colatura ne costituisce l’elemento base. Raccolto progressivamente, viene conservato e sottoposto a un procedimento naturale di conservazione con esposizione alla luce diretta del sole estivo. Al termine del processo di maturazione delle alici (circa 4-5 mesi), in genere fra la fine del mese di ottobre e gli inizi di novembre, tutto è pronto per l’ultima fase: il liquido raccolto e conservato viene versato nuovamente nel terzigno ove le acciughe erano rimaste in maturazione. Attraversando lentamente i vari strati (di qui il termine colatura), ne raccoglie il meglio delle caratteristiche organolettiche, fino a essere recuperato, attraverso un apposito foro praticato nella botticella con un attrezzo detto vriale e trasferito in altro recipiente. Il risultato finale è un distillato limpido dal forte colore ambrato (quasi bruno-mogano) e dal sapore deciso e corposo: un’eccezionale riserva di sapidità che conserva intatto l’aroma della materia prima.La colatura di alici è un condimento peculiare che può essere anche usato al posto del sale per insaporire le verdure fresche o lessate (patate, scarole, broccoli ecc.) e alcuni piatti di pesce.
Area di produzione: Comune di Cetara (provincia di Salerno).
Stagionalità: Le alici vengono pescate da aprile fino ad agosto, la maturazione del liquido nei terzigni dura 4-5 mesi.
Alici di Menaica (Donatella Marino – Marina di Pisciotta).
C’è un’antichissima tecnica di pesca, un tempo diffusa su tutte le coste del Mediterraneo, che sopravvive in pochi luoghi, in Italia. Uno di questi è il Cilento, in particolare a Marina di Pisciotta, un piccolo borgo sulla costa, a metà strada tra Velia e Capo Palinuro. Sopravvive grazie a un gruppo di pescatori – non più di sette, otto barche – che escono in mare la notte con barca e rete (entrambe si chiamano menaica o menaide, anticamente minaica).
Le “alici di menaica” si pescano nelle giornate di mare calmo, tra aprile e luglio: si esce all’imbrunire e si stende la rete sbarrando il loro percorso al largo. La rete le seleziona in base alla dimensione, catturando le più grandi e lasciando passare le piccoline. Nervose e guizzanti, le alici, una volta intrappolate, perdono velocemente gran parte del loro sangue. Con la forza delle braccia si tira in barca la rete e, delicatamente, si estraggono dalle maglie, una a una, staccando la testa ed eliminando le interiora. Poi si sistemano in cassette di legno e – fatto molto importante – non si utilizzano né il ghiaccio né altri tipi di refrigerante per il trasporto. Le alici vanno lavorate immediatamente: prima si lavano in salamoia e poi si dispongono in vasetti di terracotta, alternate a strati di sale. Quindi inizia la stagionatura, che avviene nei cosiddetti magazzeni, locali freschi e umidi dove un tempo, prima che nascesse il porto, si ricoveravano anche le barche. Qui le alici devono maturare, ma senza asciugare troppo, almeno tre mesi. Le alici di menaica sotto sale si distinguono per la carne chiara che tende al rosa e per il profumo intenso e delicato, che le rende assolutamente uniche. Si mangiano fresche o sotto sale, crude o cotte. Molte ricette sono semplicissime, come l’insalata di alici crude, appena sbiancate dal limone e condite con olio, aglio e prezzemolo, o il sugo di alici, ottimo sugli spaghetti e velocissimo: basta friggere le alici con un po’ di olio, pomodorini, aglio e peperoncino. Più complesse, ma sempre basate su pochi ingredienti: le inchiappate (alici aperte, farcite con formaggio caprino, uova, aglio e prezzemolo, infarinate, fritte e cotte nella salsa di pomodoro), le ammollicate (alici spaccate, condite con mollica di pane, aglio, olio e prezzemolo), il cauraro è a base di patate, fave, alici e finocchietto selvatico.
Area di produzione: Comuni di Pisciotta e Pollica (provincia di Salerno).
Stagionalità: Le alici sono pescate nel periodo primaverile-estivo, dal mese di marzo fino ad agosto.
Testa in cassetta di Gavi (Salumi Agostino Bertelli - Gavi).
Ricetta antica ed elaborata, la testa in cassetta è un tipico salume «di risulta»: lo stratagemma studiato dai contadini per conservare e rendere appetitose le parti del maiale che avanzavano dalla produzione di prosciutti, coppe e salami. La versione elaborata dai macellai di Gavi si differenzia dall’originale contadino per l’uso di tagli bovini nobili e meno nobili che ingentiliscono la ricetta. Viene prodotta, esclusivamente nei mesi invernali, utilizzando accanto alla testa del maiale, la lingua, il muscolo e il cuore bovino, considerato indispensabile per ravvivare il colore della fetta. I vari tagli devono sottostare a una lunga cottura in acqua salata, prima di essere disossati e ridotti in pezzi piccoli con battitura a coltello. La testina, o maschietta, bollita insieme agli altri tagli, è passata più volte con la mezzaluna fino a diventare semiliquida, anche grazie all’aggiunta di acqua di cottura. A questo «passato» è aggiunta la carne a dadini e una concia a base di sale, pepe, cannella, coriandolo, chiodi di garofano, noce moscata, peperoncino, pinoli e un tocco di rhum. L’impasto, ancora ben caldo, si insacca delicatamente quindi nel budello cieco di manzo, detto anche tascone. La testa, così preparata, è posta poi per un giorno in ambiente molto freddo; alcuni la lasciano per una notte all’aria aperta gravata da un peso per compattarla e darle la caratteristica forma schiacciata. A questo punto la testa in cassetta è pronta. L’utilizzo di vari tagli bovini rende la testa in cassetta di Gavi particolarmente delicata e magra e determina la caratteristica policromia della fetta. Al naso i tenui sentori carnei sono arricchiti dalla speziatura. Si può consumare sia come antipasto, fredda e tagliata molto sottile, sia come secondo, tagliata spessa, leggermente riscaldata, su un letto di cipolle al forno.
Area di produzione: Comune di Gavi (provincia di Alessandria).
Stagionalità: viene prodotto tutto l’anno eccetto nei mesi estivi di giugno, luglio, agosto.
Montébore (Agriturismo Vallenostra di Mongiardino Ligure).
Montébore è un paesino della Val Curone, sullo spartiacque tra le valli del Grue e del Borbera. Un angolo del Tortonese (nel territorio piemontese che confina a sud con la Liguria e a est con la Lombardia) poco umanizzato e integro. La fama del luogo è legata a una formaggetta di latte vaccino e ovino dalla storia antichissima. Già nel XII secolo un ricco tortonese ne mandava ben cinquanta pezzi in dono a un alto prelato per perorare la promozione del fratello prete. E alla fine del Quattrocento è l’unico formaggio presente nel menù delle sfarzose nozze tra Isabella di Aragona, figlia di Alfonso, e Gian Galeazzo Sforza, figlio del Duca di Milano. La curiosa forma a torta nuziale si ispira alla antica torre del paese ed è data dalla sovrapposizione di robiole dal diametro decrescente. La crosta parte liscia e umida e poi, con la stagionatura, diventa più asciutta e rugosa. Il colore va dal bianco al giallo paglierino. La pasta è liscia o leggermente occhiata, di colore bianco in varie sfumature. Si fa con latte crudo: per il 75% vaccino (un tempo era quello delle vacche Tortonesi, oggi quasi estinte) e per il restante 25% ovino. La cagliata, rotta con un cucchiaio di legno, è posta nelle formelle, rivoltata e salata. Estratte dallo stampo, tre forme dal diametro decrescente sono poste a stagionare, una sopra l’altra, da una settimana a due mesi. L’assaggio di Montébore, opportunamente stagionato, denuncia il gusto del latte ovino, anche se la percentuale di latte di pecora non supera mai il 40%. Al naso, infatti, si percepiscono odori leggermente animali e un poco speziati. In bocca, all’inizio della degustazione, è tendenzialmente latteo e burroso, mentre nel finale si sente la castagna accompagnata da sfumature erbacee. Il Montébore può essere gustato fresco, semistagionato (quindici giorni) o da grattugia.
Area di produzione: alcuni comuni delle Valli Curone e Borbera (provincia di Alessandria).
Stagionalità: la produzione del formaggio Montebore avviene tutto l’anno.
lunedì 5 ottobre 2009
Rosso&Rossa
Si è chiusa con questo interessante laboratorio l'ultima edizione di VinEstate, svoltasi a Torrecuso (BN) dal 4 al 6 settembre scorsi.
venerdì 2 ottobre 2009
Tour of Scotland
Okkei, sarò a Roma per tutto il mese di ottobre... ma non posso non segnalarvi un evento così (dico per quelli che bazzicano a Milano...).







