lunedì 3 gennaio 2011

Barolo Chinato: Augusto Cappellano e una storia lunga più di cent'anni

Avevo le idee chiare quando l'ho comprato un mese e mezzo fa a Terre di Vite (leggi qui). Direttamente dalle mani del simpaticissimo Augusto, figlio del compianto Baldo Cappellano e oggi impegnato a tutto tondo nella conduzione della storica azienda di famiglia, in quel di Serralunga d'Alba.

Sapevo già quando, come e perché l'avrei bevuto. In pratica, di lì in poi è stato tutto un countdown fino allo scoccare dell'ora ics: il pranzo di Natale. O meglio, a fine pasto, quando il panettone era già bello che scomparso dalla tavola e si era materializzato il solito vassoietto con i dolci della tradizione campana: il divinamore, il roccocò e poi lui, quel dolce semplice e spettacolare che è il mustacciuolo ricoperto di cioccolato fondente.

Il Barolo Chinato di Cappellano
Un vino che ha una storia lunga più d'un secolo, da quando sul finire del 1800 il farmacista Giuseppe Cappellano mise a punto la ricetta del mitico elisir di Langa; e due anime, quella dolce e quella amara, che convivono, si intrecciano, si scontrano e si completano nel bicchiere dove - di là dall'affascinante colore granato di un barolo di vecchia data, appena appena forse più lucente - promanano e si alternano profumi intensi di spezie: la vaniglia, il rabarbaro, la china e i chiodi di garofano, lo zafferano e l'origano.

Il naso è stratosferico; ma è in bocca che le cose si fanno ancor più stupefacenti se si pensa che il sorso - che pur deve fare i conti coi diciotto e passa gradi d'alcol - non perde mai leggiadria e non è mai pesante, ecco. Eppoi è elegantissimo, d'una finezza che è compostezza, pulizia e austerità. Che sono poi i tratti essenziali del lungo ricordo che si stampa sul palato, con la radice di liquirizia che si affaccia man mano che svaniscono le spezie.

Insomma, un must.

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