mercoledì 7 luglio 2010

Aspettando #aglianicodelvulture1... Eleano 2004

Mentre continuano a ritmo serrato le selezioni dei brani per la #compilescion del viaggio che ci condurrà il prossimo 4 agosto in quel di Melfi, ospiti di Sara Carbone, già fremo al solo pensiero di #aglianicodelvulture1.

Primo. Non sono mai stato in Basilicata se non una volta, da piccolo, per un campo estivo ad Acerenza. Detto tra parentesi, mi credete se vi dico che io ancora me lo ricordo il pane di grano duro che facevano lì?! Uno spettacolo!
Secondo. Da quello che si dice in giro già solo la cena in programma il 5 agosto all'Antica Osteria Marconi dello chef Franco Rizzuti varrebbe il viaggio. E poi c'è tutto il resto...
Terzo. Non è per dire ma tra i miei vini del cuore l'aglianico del vulture ci sta che è una bellezza. Sono campano, c'ho il sangue d'aglianico e potrei tessere infinite lodi dei rossi che vi si ottengono dalle mie parti. Eppure per quello del vulture ho sempre avuto un debole, incantato da quell'innata eleganza che lo rende così "diverso" dall'aglianico amaro del Sannio e da quello più minerale e austero di Taurasi, che pure entrambi amo.


Il merito di quest'incontro è tutto di Luciano Pignataro e Mauro Erro che presentarono l'azienda Eleano al Primo Festival Meridionale delle Piccole Vigne celebratosi a Castelvenere nell'agosto scorso; festival che ha avuto poi un seguito nel Vulture nemmeno un paio di mesi fa e proprio da Sara Carbone. Ma io alla seconda tappa non c'ero e non mi rimane che rievocare l'assaggio di un anno fa - fantastico nonostante le temperature tropicali - e quelli che sono venuti dopo. Due, per la precisione. L'Eleano 2004 c'è finito altre due volte sulla mia tavola. E quattro bottiglie della stessa annata giacciono ancora beate nella mia cantina (la speranza è di resistere ancora a lungo prima di tirargli il collo).

Sarà forse solo questione di assonanze ma "Eleano" - che in realtà è una distorsione di “ellenico” - a me ricorda molto il leit motif di tutto l'assaggio: l'eleganza. Il nome del  cru è anche quello dell'azienda (oggi condotta da Rino Grieco, dalla figlia Francesca e da Alfredo Cordisco) che da poco più di dieci anni ha ripreso la coltivazione dei cinque ettari di vigneti in località Pian dell’Altare, a un’altitudine di circa 600 metri sul livello del mare e su terreni vulcanici.

Il naso iniziale di grafite è uno spettacolo: elegantissimi i toni di prugna, cioccolato, pepe nero e quelle note di sottobosco, di rabarbaro e tabacco che promanano dal calice radioso e trasparente d'un rubino piuttosto intenso. E poi, sullo sfondo, quel ricordo di balsamico, quasi mentolato che si insinua timidamente tra le dolci sfumature di spezie. Stesso discorso in bocca dove il sorso è pieno ma non pesante, morbido e sensuale, ancora fresco e con una bella vena sapido-minerale, col tannino che c'è ma è ben calibrato. Da uve sottoposte a macerazione per circa 30 giorni a temperatura controllata di 20-22 gradi. Ventiquattro mesi di tonneau e poi sei/otto mesi in bottiglia.

Ha tutto quello che posso chiedere a un aglianico del vulture: complessità, eleganza, struttura. Cosa volere di più? Berlo ancora, tra qualche tempo, magari ancora con quel fegato di maiale alla brace arrotolato con lardo e qualche fettina di alloro.

1 commento:

LiquiriziaPura ha detto...

Ecco adesso sono curiosa anche io! :)