giovedì 24 febbraio 2011

L'Aglianico del Taburno fa tappa nel milanese

Udite udite!

Se siete in zona Milano domani, venerdì 25 febbraio, potreste fare un salto a Bareggio. L'Enoteca Maggiolini, infatti, organizza - con il supporto della locale delegazione FISAR - un banco d'assaggio interamente dedicato all'aglianico.

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Le femminelle di aglianico nel Taburno
La cosa assolutamente interessante è che saranno in degustazione anche le etichette di aglianico del taburno delle aziende aderenti all'Associazione dei Produttori ("nata nel 2003 dall'impegno di un gruppo di produttori vitivinicoli, allo scopo di valorizzare e promuovere la conoscenza del territorio e della cultura dell'area del Taburno, ed in particolare dei vini a Denominazione di origine Controllata Aglianico del Taburno e Taburno") che il 10 dicembre scorso aveva organizzato l'interessante tavola rotonda Write Wine a cui avevo potuto partecipare anch'io (leggi qui).

"I campioni inviati per la degustazione - e in questo va riconosciuto il grande impegno da parte dell'Associazione dei Produttori - vanno dal 2001 al 2009 e provengono da 15 delle cantine associate dislocate nei diversi comuni dell’area così da permettere una visione più ampia di un prodotto che paga lo scotto di non essere un vino che ammalia al primo sorso ma che va conosciuto approfonditamente e aspettato per poterne apprezzare le qualità migliori: complessità, persistenza e finezza".

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Il logo dell'Associazione dei Produttori
Insomma, potreste approfittare per conoscere più da vicino  l'aglianico e, in particolare, l'aglianico del taburno che è vino sulle prime un po' scontroso ma che col tempo sa essere assai generoso.

Ve ne accorgerete.

Maggiori informazioni sul sito dell'associazione o scrivendo una mail; oppure ancora rivolgendosi direttamente all'Enoteca Maggiolini al nr. 02/9013034 - mail info@enoteca-maggiolini.it).

lunedì 21 febbraio 2011

Sagrantino di Montefalco Pagliaro 2005, Paolo Bea

Sarà forse il primo vino umbro che capita a tiro su queste paginette e devo dire che come debutto non è affatto male. Un giovanotto, quello sì. Che comunque il vino, in bottiglia, c'è finito il 23 settembre 2008. Poco più di due  anni, quindi: tutto sommato un discreto periodo di affinamento in vetro.

Discorsi anagrafici a parte, il Pagliaro ha fatto la sua bella figura. E anzi, trascorse un paio d'ore dalla stappatura, è venuto fuori alla grande, più giovane ancora di quanto avremmo soltanto osato immaginare poco prima.

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Il Pagliaro 2005, Sagrantino di Montefalco di Paolo Bea.

Piccoli frutti rossi e neri - la mora, soprattutto - e grande succosità. Una beva che unisce potenza e eleganza: potenza del tannino, vigoroso ma già ben levigato; eleganza dei profumi e del sorso, coerente e fresco assai, con quella bella punta di salinità che non guasta mai. Un finale in crescendo, vibrante; insomma, profondo e di grande soddisfazione finale.

Ha stoffa, ecco. E non lasciatevi spaventare dai 14 gradi e mezzo d'alcol dichiarati in etichetta ché, ve lo assicuro, non si sentono affatto. Piuttosto, accostatevi con umiltà alla boccia di un artigiano in quel di Montefalco che raccoglie le uve manualmente, le vinifica a contatto con le bucce (l'annata 2005 fa 46 giorni di fermentazione con macerazione) e fa maturare il vino per i primi dodici mesi in acciaio e poi altri 24 in botti grandi di rovere di Slavonia, prima dei dodici mesi di bottiglia che precedono la commercializzazione. Nessuna stabilizzazione forzata; questo è il motivo della presenza di più d'un sedimento sul fondo.


Pagliaro - lo dice l'etichetta - è il nome della vigna da cui provengono i grappoli di sagrantino utilizzati. Ho scoperto, poi, che il vigneto si trova a un'altitudine di circa 400 metri, su terreno argilloso, e che è composto di viti vecchie dai 20 anni in su. 

Costo in enoteca: sui 60 euro. Da comprare adesso e da bere chissà quando. Amen.

sabato 12 febbraio 2011

L'Amarone della Valpolicella secondo Speri: una verticale palpitante

Sono ritornato in Valpolicella l'altra sera, per partecipare alla verticale storica dell'Amarone Vigneto Sant'Urbano di Speri. Una verticale palpitante, oserei dire, che ha pienamente rispettato le attese, ripagandomi dei cento e passa chilometri che mi sono sparato fino a Pedemonte. 

Un evento a cui non potevo mancare, raccogliendo il graditissimo invito di Maria Grazia Melegari (date un'occhiata a Soavemente, il suo blog, oppure cercatela con questo stesso nome su twitter) e della delegazione AIS di Verona. Con un grazie sentito anche a Giampaolo Speri, padrone di casa e rappresentante dell'ennesima generazione di una famiglia dalle origini antiche, che ancora oggi produce vini di territorio e Amarone nel cuore della Valpolicella classica e secondo tradizione.

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Le bottiglie in verticale: (da sx a dx) 2006, 2001, 1995, 1983, 1973

Senza voler anticipare nulla - ché della verticale parlerò ben presto di là, sul sito di Luciano Pignataro - dico solo che la degustazione mi ha in un certo senso riappacificato con l'Amarone dopo alcune delusioni del passato (non ultima l'opinabile discesa in campo delle famiglie dell'Amarone d'Arte - tra cui appunto Speri). Tenuto conto che lo scarso feeling con la tipologia è anche da attribuirsi, nel mio caso, al non aver mai assaggiato niente di così vecchio da permettermi di coglierne forse l'essenza. Fatto è che l'Amarone è vino da lungo invecchiamento, spesse volte (purtroppo) snaturato dalle esigenze del mercato e da quello che Franco Ziliani aveva definito «processo di amaronizzazione forzata».

Una verticale tanto più importante se si pensa che l'excursus era di quelli tosti: 5 annate dagli anni settanta al 2000, passando per gli ottanta e i novanta con le rispettive tendenze enologiche. Una possibilità unica, quindi, per ripercorrere le tappe dell'evoluzione (anche stilistica) del vino simbolo della Valpolicella.

Con due annate, il 1973 e il 1995, a loro modo spet-ta-co-la-ri.

mercoledì 9 febbraio 2011

I bianchi (non Soave) di Sandro Tasoniero

Non so bene spiegarvi il perché ma - forse per quell'inconsapevole abitudine che mi porta ad abbinare il nome dell'azienda a quello della persona che il vino lo fa materialmente - ero convinto che l'uomo dinanzi a me facesse Sandro di nome e De Bruno di cognome. Invece no, si trattava di Sandro Tasoniero - ma questa è una cosa che ho scoperto solo dopo un po' di tempo. Dopotutto non conoscevo assolutamente i vini di quest'azienda che sapevo, però, essersi fatta promotrice di un VinixLive! (al quale - per la cronaca - non avevo potuto partecipare).

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Sandro Tasoniero
Primi assaggi in assoluto, dunque, che mi hanno fatto una buona impressione. Parlo esclusivamente dei bianchi (farei un discorso a parte per il passito e il recioto). Ché i rossi non li ho nemmeno provati, un po' per mancanza di tempo e un po' perché al banco d'assaggio sui vini del Veneto dove mi trovavo (ricordate?! ho parlato qui del seminario di approfondimento condotto da Massimo Zanichelli) avevo preferito misurare gli assaggi, concentrandomi maggiormente sui Soave in degustazione.

Ciò nonostante, i primi due bianchi di cui vi parlo non sono ottenuti da uve garganega.

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Il Durello 2008

l primo - il Monti Lessini Durello Superiore Durello 2008 - è ottenuto da uve durella in purezza ed è vinificato fermo (c'è anche una tipologia spumante di cui, però, non mi sono ancora fatto un'idea). Il naso intenso e piuttosto fine tradisce sin dal primo impatto una spiccata indole minerale. L'affinamento sur lies per un anno e la maturazione in botti di legno scariche (per il 15% della massa) donano ulteriore struttura. Il sorso è pieno e salino, teso e vibrante, molto giocato sulle durezze; discreto allungo finale.

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Il Calvarina 2007

E poi il Monti Lessini Bianco Superiore Calvarina 2007 - blend di chardonnay e pinot grigio (con una leggera prevalenza del primo) - che niente ha a che spartire col quasi omonimo cru di Soave. Colore paglierino di bella intensità e buona luminosità, dall'incedere lento degli archetti lungo le pareti del calice si direbbe dotato di maggiore ricchezza di estratto e componente alcolica. Al naso si concede con eleganti note di fiori bianchi, mela e lavanda; forse ancora scomposto in bocca, dove appunto prevalgono il salato, l'idrocarburico e l'alcol. Nel complesso, più profonda e complessa la beva, sempre salina e idrocarburica, in costante tensione e in divenire. Il che lascia ben sperare... Affinamento sur lies in legno per circa un anno, in botti da 5 ettolitri (lo chardonnay) e da 20 ettolitri (il pinot grigio).

giovedì 3 febbraio 2011

I grandi bianchi del Veneto: un bel seminario condotto da Massimo Zanichelli

Il 23 novembre scorso ho partecipato al banco d'assaggio sui vini del Veneto organizzato da GoWine; e, in particolare, a uno dei due seminari condotti dal giornalista Massimo Zanichelli che vedeva protagonisti i grandi bianchi della regione (all'incontro sui rossi, invece, non ci sono andato: un po' per mancanza di tempo e un po' per mancanza di voglia).

Il giornalista Massimo Zanichelli
Vero e proprio leit-motif della giornata, almeno per quanto mi riguarda, sono stati il Soave e i vini dei Colli Euganei; ho recuperato così l'assenza al banco d'assaggio del giorno precedente (organizzato da AIS Lombardia) sui vini di quest'ultima denominazione.

Vabbè, vi parlerò presto di tutto il resto (spero); per adesso, accontentatevi del seminario che ha offerto spunti assolutamente interessanti per gli amanti dei bianchi come il sottoscritto.

Prosecco Superiore Extra Dry Vigneti del Fol 2009, Bisol Desiderio
Di portamento elegante, come già dimostra la schiuma fine e persistente nel calice. I profumi, magari non  intensissimi ma assolutamente fini - quello sì, lasciano intendere un residuo zuccherino più che accennato: pera e mela renetta, soprattutto. In bocca, però, è meno dolce di quanto uno s'aspetterebbe, per di più abbastanza sapido (la zona di produzione è quella di Santo Stefano dove i terreni sono un misto di argille e arenarie); sorso ammiccante e di grande piacevolezza, chiusura su un ricordo leggero quasi fosse zucchero filato.


Il prosecco metodo classico e non dosato di Bellenda
Prosecco Pas Dosé SC 1931 Millesimato 2008, Bellenda
Un prosecco "anomalo" rispetto all'immaginario collettivo, elaborato secondo il metodo classico (sedici mesi sur lies), non dosato e pure millesimato. Colore paglierino, timido ma leggermente più intenso del precedente. I profumi danno l'idea di sensazioni più calde, in parte dovute al breve passaggio in legno durante la fermentazione e in parte alla leggera surmaturazione delle uve utilizzate. Di bella finezza: una nitida nota di mela, gli agrumi e la mentuccia. Nel complesso, una maggiore struttura rispetto a quello che è solitamente il prosecco, come è d'uso nella zona attorno a Vittorio Veneto più che nella Valdobbiadene (le vigne aziendali si trovano nella frazione Carpesica).

Il Soave Danieli di Fattori
Soave Danieli 2009, Fattori
Colpisce subito il naso, seducente ma non piacione; come pure il bel colore giallognolo. Profuma di mela e litchi, direi; erba appena tagliata. Ottenuto da uve garganega in purezza allevate nella zona di Roncà (sottozona Terrossa), ovvero nella parte più orientale della denominazione (quella allargata per intenderci, anch'essa di chiara origine vulcanica) dove si trovano soprattutto argille laviche. In bocca è molto ben definito, coerente e anche piuttosto lungo quanto a durata delle sensazioni; in più, è molto salino e costante nei profumi; caldi, quasi a suggerire una leggera surmaturazione delle uve.


Il cru di Soave di Pieropan
Soave Calvarino 2008, Pieropan
Il cru che da' il nome all'etichetta è forse il più importante dell'intera zona del Soave Classico. Composto per il 70% di uve garganega e del 30% di trebbiano, è il Soave di Soave per antonomasia: molto più minerale e iodato, più salino di quello precedente. Appena chiuso all'inizio, forse per una temperatura di servizio leggermente troppo bassa, ha netti profumi di mela, meno caldi del bianco di Fattori. Tutto giocato sulla mineralità, regala elegantissime sensazioni di agrumi e mentuccia, di bergamotto. Bianco di struttura, sei mesi sur lies in vasche di cemento vetrificato.

Il cru di vespaiolo dei Vignaioli Contra' Soarda
Breganze Vespaiolo Superiore Vignasilan 2007, Vignaioli Contra' Soarda
Un vitigno ai più sconosciuto, autoctono della zona di Breganze, a nord di Vicenza e dalla parte opposta rispetto ai Colli Berici, che si esprime nel calice con un naso particolarissimo di cenere, mela, susina e agrumi. La spinta minerale data dai terreni di origine vulcanica si percepisce già al naso e in bocca è più ricco, fruttato. Non c'è (anche se il primo impatto sembrava confermarlo) surmaturazione delle uve, esclusa  da Mirco Gottardi - se viene raccolto tardi perde la carica aromatica, acido e grasso in bocca. Piacevole e agrumato al palato, sosta sur lies che lo arricchisce quanto a corpo e struttura.


Il moscato fior d'arancio de Il Mottolo
Colli Euganei Fior d'Arancio Passito Vigna del Pozzo 2008, Il Mottolo
Al colore dorato di sinuosa eleganza, unisce un naso suadente, dove emergono con savoir faire il tipico sentore di arancia candita e a seguire l'uva passa, la lavanda e i fiori d'acacia, lo zenzero e il miele, avvolte da una nota smaltata. In bocca, poi, freschezza e sapidità sorreggono la beva che chiude leggermente amarognola. Da uve moscato giallo in purezza, raccolte con più passaggi in pianta e riposte in cassettine ad appassire per circa 4 mesi, pigiate con torchio a mano e poi sottoposte a maturazione per circa un anno in botte e quindi in acciaio.


Il vin santo di Ca' Rugate
Passito Corte Durlo 2003, Ca' Rugate
Delle due bottiglie aperte per la degustazione, una era praticamente andata e presentava il classico sentore di tappo. Peccato. Peccato perché - il buon vino, a volte, porta ad essere tremendamente egoisti - erano le uniche due che l'azienda aveva portato.
Il colore ramato farebbe pensare più a un vin santo, così come l'affascinante velo di ossidazione che avvolge il calice, donandogli ulteriori fascino ed eleganza. E in effetti vin santo è, eccome; di Brognoligo, però, che è la frazione più vitata di Monteforte d'Alpone. La floretta tipo Jura nel calice è dovuta all'ossigeno che si intrufola nelle botti scolme, sigillate e poi riaperte dopo lungo tempo (più o meno 6 anni) prima dell'assemblaggio. Profuma di mallo di noce e di caramello bruciato, radice di liquirizia e cacao amaro; unisce intensità ad eleganza, anche in bocca dove chiude lungo e con grande coerenza.